Hai un male contro ogni rimedio

Una ferita contro ogni benda,
del fuoco contro ogni pomata.
Ma solo tu andrai
con la borsettina a rete
il mattino presto.

Il mattino presto, prima che ci svegliamo,
inforchi gli occhiali impotenti,
giri la chiave e apri.
Hai una tristezza contro l’estate.

Hai una cicatrice contro ogni carezza.
Se ti nutriamo, ti sciupi,
se ti solleviamo, crolli.
Cosa faremo senza le tue mani
di porcellana.

Senza i tuoi capelli di ragnatela chiara.
Hai un ricordo contro ogni consolazione,
ma solo tu andrai a prendere il pane
e tornerai col sole.

*

Mio padre aveva un paio di cose sue

Mio padre camminava col mento alzato,
il cappotto agganciato a un dito, sulla spalla.
Mio padre rifletteva con una sigaretta in bocca
e non l’accendeva. Quando era divertente
per un attimo acquisiva il profilo
di un uccello.

Mio padre vedeva il futuro.
Prima che qualcuno morisse mio padre lo sognava
avanzare su per le scale, verso la propria foto.
Prima che qualcuno si sfasciasse la macchina,
mio padre lo sognava baciato da una bambola.

Un giorno d’inverno, anni fa,
mio padre salì le scale verso la propria foto.
Di là mi guarda malizioso con un occhio.

*

Non sei l’unico

Hai sosiа.
Hai sosia degli occhi,
hai sosia dei modi,
hai sosia del prima e del poi,
hai sosia perfino delle opinioni. Le tue
opinioni pure sono sosia.
Sai come capita di sbirciare in qualche finestra
e di credere che lì viva qualcuno di più spensierato di te?
È unо dei tuoi sosia.
Hai sosia del trionfo, hai
sosia della sconfitta
(la mano alzata – mano di sosia;
il gusto di sangue in bocca – il gusto di ogni sangue).
Hai sosia tali e quali a te.
Hai presente come a volte quando passi
la maniglia della porta ti azzanna all’improvviso la manica?
È uno dei tuoi sosia.
Hai sosia di sette anni che leggono di avventure
nella soffitta in cima alla scala di mosaico grigio.
Hai sosia di ventitré, ancora presuntuosi.
Hai sosia che anelano una tempesta d’estate
sotto certi castagni.
Nella memoria, l’unica cosa tua,
loro ti visitano.

*

Il branco

Noi dovevamo correre per inseguire la verità,
per afferrare la verità e darti
un po’ della sua carne vecchia.
Noi dovevamo inseguire la verità
per avere il nome con cui ululare
dello sconforto del mondo.
Noi dovevamo correre per incendiarci i polmoni,
per assaporare colle narici il ferro
del sangue.
Noi coglievamo gli indizi con la coda
della mente, ma gli indizi ci brulicavano lungo la spina
e giravamo furiosi in circolo.

Bastava fermarsi a riposare e la scorgevamo:
la sua gobba, i suoi ciuffi arruffati nella moltitudine.
Il suo odore di tarme e di rimorsi ci esasperava
ed eccoci di nuovo in corsa,
come se qualcosa ne dipendesse.

Ma mica potevamo giacere
e sognare una lauta cena.
Mica potevamo – invece d’inseguire la verità –
andare nel bosco dai pini profumati
e farli nostri.

Non potevamo, perché chi è che sceglie d’incalzare,
chi è che sceglie di distendersi?
Chi di ruminare, chi di sbranar la carne
con le fauci fatte per sbranar la carne?
Chi è che sceglie, se la scelta è annuire alla sorte.
Scegliere è avere dei tic.

Noi dovevamo inseguire la verità
per raggiungerla e azzannarle
la clavicola.
Perché la verità si volgesse e ne vedessimo
lo scherno sulla faccia ingrigita.

*

Ti è dato raccogliere la luce

Illuminarti tutto. Ti è dato
raccogliere la luce delle cose,
lo splendore della luce.
Ti è dato crescere con la trepidazione
dei primi fiori.

Dai miasmi del mondo attingere la luce.
Dall’urlo dei furiosi,
dalle prigioni prendere la luce.
Dalle sirene di allarme cogliere
il violino
ed illuminarti tutto.

Ti è data la solitudine dell’essere umano,
ti è data la vanità della favella.
Ti è dato lasciare la luce
abbandonare le tue labbra;
abbandonare le tue labbra e diventare nostra.

Ci è dato cercare di decifrare la tua luce.
Ci è dato trasformare la luce in leggi,
le leggi in prigioni e le prigioni in miasmi.
Ci è dato che qualcuno
cresca con la trepidazione dei primi fiori.

Tienes una dolencia contra todo remedio

Tienes una herida contra todo vendaje,
ardor contra toda pomada.
Pero sólo tú irás
con la bolsa de malla
de madrugada.

De madrugada, antes de despertarnos,
te pones los anteojos impotentes,
giras la llave en la puerta.
Tienes tristeza contra el verano.

Tienes una cicatriz contra toda caricia.
Si te alimentamos, desfalleces;
si te levantamos, te derrumbas.
Qué haríamos sin tus manos
de porcelana.

Sin tu cabello de luminosa telaraña.
Tienes un recuerdo contra todo consuelo,
pero sólo tú irás por el pan
y volverás con el sol.

*

Mi padre tenía algunas cosas suyas

Mi padre caminaba con la barbilla en alto,
con su abrigo colgado de un dedo, sobre el hombro.
Mi padre pensaba con un cigarrillo en la boca, sin encenderlo.
Cuando se ponía gracioso,
por un instante adoptaba el perfil
de un pájaro.

Mi padre veía el futuro.
Antes de que alguien muriera, mi padre lo soñaba
trepando una escalera hacia su propia foto.
Antes de que alguien chocara su auto,
mi padre lo soñaba besado por una muñeca.

Un día de invierno, hace años,
mi padre ascendió hasta su propia foto
y de allí me mira travieso, con un ojo.

*

No eres único

Tienes dobles.
Tienes dobles de los ojos,
tienes dobles de los modales,
tienes dobles de antes y después,
tienes dobles de las opiniones. Tus opiniones
también son dobles.
Seguro te sucede mirar en la ventana de otro
y pensar que allá vive alguien más despreocupado que tú.
Es uno de los dobles.
Tienes dobles de triunfo, tienes
dobles de derrota
(la palma levantada, palma de un doble;
el sabor de sangre en la boca, sabor de toda sangre).
Tienes dobles idénticos a ti.
Seguro te sucede que al pasar
la manija de la puerta de repente te muerda la manga.
Es uno de los dobles.
Tienes dobles de siete años que leen de aventuras
en un ático, encima de las escaleras de mosaico gris.
Tienes dobles de 23 años, seguros de sí mismos.
Tienes dobles que sueñan con una tormenta de verano
bajo unos castaños.
En la memoria – lo único tuyo –
te visitan.

*

La manada

Debimos correr para alcanzar la verdad,
para atrapar la verdad y darte
de su vieja carne.
Debimos perseguir la verdad,
para obtener el nombre con el que aullar
por las penurias del mundo.
Debimos correr para incendiar nuestros pulmones,
para saborear con las fosas nasales el hierro
de la sangre.
Vislumbramos los indicios con la punta de la mente,
pero los indicios corrían por nuestra columna vertebral
y giramos frenéticamente en círculos.

En cuanto nos deteníamos a descansar, veíamos
su joroba, sus mechones enmarañados en medio de la multitud.
Nos enloquecía su olor a polilla y a lástima,
y de nuevo nos lanzábamos a correr,
como si algo dependiera.

Acaso podíamos recostarnos
y soñar con una cena llenadora…
Acaso podíamos dejar de perseguir la verdad
y, en cambio, adentrarnos en el bosque
de fragantes pinos y hacerlos nuestros.

No podíamos, porque ¿quién elige perseguir
y quién elige descansar;
quién elige rumiar o desgarrar carne
con su hocico hecho para desgarrar carne?
Quién elige, si la elección es asentir ante la suerte.
Elegir es tener tics.

Debimos perseguir la verdad,
alcanzar la verdad, clavar los dientes
en su clavícula.
Para hacer que se volteara, y ver cómo se reía de nosotros
su rostro ceniciento.

*

Se te ha dado recoger la luz

Iluminarte entero. Se te ha dado
recoger la luz de las cosas,
el resplandor de la luz.
Se te ha dado crecer con el temor
de las primeras flores.

De los miasmas del mundo tomar la luz.
Del aullido de los desquiciados,
de las prisiones tomar la luz.
De las sirenas de alerta tomar
el violín
e iluminarte entero.

Se te ha dado la soledad del hombre,
se te ha dado la vanidad del habla.
Se te ha dado permitir que la luz
dejara tus labios;
que dejara tus labios para ser nuestra.

Se nos ha dado interpretar tu luz.
Se nos ha dado hacer de ella leyes,
y de las leyes prisión, y de la prisión miasmas.
Se le ha dado a alguien
crecer con el temor de las primeras flores.