From L’amour

Written in French by François Bégaudeau

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La première fois que Jeanne voit Pietro, c’est au gymnase où sa mère fait le ménage. 

Quand c’est le jour de nettoyer les gradins, la mère embarque sa fille, on n’aura pas trop de quatre bras. Jeanne y gagne 20 francs, ça fait un petit complément à sa paye de l’hôtel. Et puis ça l’occupe.

Un mercredi de février, leurs horaires coïncident avec l’entraînement de l’équipe de basket. Les semelles de caoutchouc crissent sur le parquet, les shorts en nylon luisent sous les projecteurs. Il est là en débardeur rouge, ses cheveux noirs mi-longs ceints d’un bandeau éponge. Chiffon en main, Jeanne se concentre sur le bois verni du banc qu’elle astique pour ne pas le regarder, mais c’est impossible car du haut de ses deux mètres il domine son monde. On ne voit que lui. 

À un moment un ballon rebondit jusqu’à elle agenouillée pour lustrer le sol. Elle le renvoie d’un geste malhabile. Il ramasse la grosse boule râpeuse d’une seule main, quand il en faudrait trois à Jeanne. Elle songe qu’elle n’est pas de taille. Elle n’y songe même pas. 

Un soir, à la débauche, Jeanne dit qu’elle va rentrer à pied. Sa mère trouve l’idée saugrenue, pour sa part après trois heures debout à faire la vitrine des coupes elle ne marcherait pas dix mètres. En plus il commence à mouiller.

— La pluie c’est bon pour les cheveux.

Dans un soupir la mère rabat la portière de la 3 CV et démarre, laissant sur place l’écervelée.

Quand Pietro sort à son tour du bâtiment blanc, la pluie a eu le temps d’aplatir sa choucroute qu’elle a châtain l’hiver et blonde l’été. De toute façon elle ne compte pas se montrer. Au contraire se recule derrière une benne, hors de vue de la demi-douzaine de garçons qui s’envoient des blagues, sacs de sport en bandoulière. En se répartissant dans trois voitures ils se donnent rendez-vous chez Émile. C’est le Café de la Poste mais tout le monde dit chez Émile, même depuis qu’Émile a laissé les commandes à son fils Joël après sa crise cardiaque. Jeanne fait un crochet par le bourg pour passer devant. Masquée par la buée de la vitre, elle le repère au bout du comptoir, illuminé par le néon du bar. Elle reconnaît Sylvie Vergnault qui l’écoute en souriant béatement. Toute leur année de septième, elles se sont moquées de l’haleine de vinasse de l’instituteur. Ce soir Sylvie a l’air moins réfractaire à la bouteille. Pietro cale un glaçon de son Ricard entre ses dents pour la faire rire et ça marche.

Il a le verbe tactile, il ne va plus tarder à l’embrasser. Elle fermera les yeux pour goûter pleinement l’instant. Elle s’imaginera être sa copine, sa fiancée, sa femme s’il le lui demande. Elle se figurera leur maison avec des balcons fleuris comme sur la carte postale envoyée d’Autriche par sa marraine. Elle réalise qu’elle n’a rien à manger. Elle court vers le Coop, à cette heure il n’y a plus que ça d’ouvert. Bernard qui s’apprêtait à tirer le volet métallique lalaisse s’enfoncer dans les rayons dont elle revient avec une boîte de cassoulet pour une personne.

En la vidant à la cuillère dans une casserole, elle décide de l’oublier. Entre eux ça ne collera jamais. Elle n’aime pas le Ricard et rien ne dit qu’il aime les balcons fleuris.

Un soir qu’il s’éloigne du gymnase à pied, elle le suit,le crachin aux joues et la peur au ventre. La filature prend fin à hauteur d’un petit immeuble face à la station- service. Pietro plie son grand corps pour faire jouer une clé dans la serrure. C’est bien l’adresse qu’elle a trouvée dans l’annuaire de chez sa mère. Après une poignée de minutes une fenêtre du deuxième s’éclaire. Une ombre fugace glisse sur le plafond. Jeanne vise le carreau avec un gravier et s’enfuit en courant.

À la page 27 avril de l’agenda La Redoute 1971 où elle consigne les événements de sa vie, elle écrit que sa molaire l’a réveillée deux fois, que son propriétaire l’a prévenue d’une augmentation du bail, qu’un client de l’hôtel a imité Fernand Raynaud, qu’après une heure d’attente elle a profité d’un plombier qui sortait de l’immeuble pour glisser une enveloppe vierge dans la boîte au nom de Maldini. À l’intérieur trois phrases à l’encre turquoise formulent une demande de rendez-vous mais sans livrer les informations qui le rendent possible.

Published September 2, 2024
© François Bégaudeau

From L'amour

Written in French by François Bégaudeau


Translated into Italian by Diana Pakrevan

La prima volta che Jeanne vede Pietro è nella palestra dove la madre fa le pulizie.

Quando è il giorno di lavare le gradinate, la madre si porta dietro la figlia, quattro braccia sono meglio di due. Jeanne ci guadagna 20 franchi, una piccola entrata extra per arrotondare la paga dell’albergo. E poi così si tiene occupata.

Un mercoledì di febbraio i loro orari coincidono con gli allenamenti della squadra di pallacanestro. Le suole di gomma scricchiolano sul parquet, i pantaloncini di nailon luccicano sotto i proiettori. Lui è lì, con la canotta rossa e i capelli neri di media lunghezza cinti da una fascia di spugna. Con lo strofinaccio in mano, Jeanne si concentra sul legno verniciato della panca che tira a lucido per non guardarlo, ma è impossibile perché dai suoi due metri di altezza sovrasta tutti i giocatori. Si vede solo lui.

A un certo punto un pallone rimbalza fino a lei, inginocchiata a lustrare il pavimento. Lo rilancia con gesto maldestro. Lui raccoglie la grossa palla rasposa con una mano sola, mentre a Jeanne ne servirebbero tre. Pensa di non essere all’altezza. Non ci pensa neppure.

Una sera, staccando dal lavoro, Jeanne dice che tornerà a casa a piedi. La madre la trova un’idea strampalata, per parte sua dopo tre ore in piedi a ripulire la vetrina delle coppe non camminerebbe neanche dieci metri. Oltretutto comincia a piovigginare. 

— La pioggia fa bene ai capelli.

Con un sospiro, la madre chiude la portiera della 3 CV e mette in moto, lasciando sul posto quella scervellata.

Quando è Pietro a uscire dall’edificio bianco la pioggia ha avuto tempo di appiattire lo chignon cotonato di lei, castano d’inverno e biondo d’estate. Tanto Jeanne non ha intenzione di farsi vedere. Anzi, si ritira dietro a un container, fuori dalla visuale della mezza dozzina di ragazzi che si scambiano battute, con le borse sportive a tracolla. Si dividono su tre macchine, dandosi appuntamento da Émile. È il Bar della Posta, ma tutti dicono “da Émile”, pure dopo che Émile ha lasciato le redini al figlio per via dell’infarto. Jeanne allunga per il centro per passare là davanti. Nascosta dal vetro appannato, lo scorge in fondo al bancone, illuminato dal neon del banco. Riconosce Sylvie Vergnault che lo ascolta con un sorriso estatico. Per tutta la quinta elementare hanno scherzato insieme sull’alitaccio di vino del maestro. Stasera Svlvie ha l’aria meno refrattaria alla bottiglia. Pietro tiene un ghiacciolo di Ricard tra i denti per farla ridere e ci riesce.

È un tipo tattile, non tarderà a baciarla. Lei chiuderà gli occhi per assaporare l’attimo a pieno. Immaginerà di essere la sua ragazza, la sua fidanzata, sua moglie se lui glielo chiede. Si figurerà la loro casa dai balconi fioriti come sulla cartolina che le ha mandato dall’Austria la sua madrina. Si rende conto di non aver niente da mangiare. Corre alla Coop, a quell’ora è l’unico posto aperto. Bernard che stava per abbassare la saracinesca lascia che lei si addentri nelle corsie da dove torna con una scatola di cassoulet per una persona.

Svuotandola col cucchiaio in un pentolino, decide di dimenticarlo. Tra loro non funzionerà mai. A lei non piace il Ricard e nulla dice che a lui piacciano i balconi fioriti.

Una sera in cui lui va via a piedi dalla palestra, lo segue, con la pioggerellina sulle guance e la paura nello stomaco. Il pedinamento ha fine all’altezza di un piccolo stabile di fronte al benzinaio. Pietro china il lungo corpo per girare una chiave nella serratura. Corrisponde all’indirizzo che Jeanne ha trovato sull’elenco telefonico a casa di sua madre.  Dopo una manciata di minuti si illumina una finestra al secondo piano. Un’ombra fugace scivola sul soffitto. Lei mira alla finestra con un sassolino e scappa di corsa.

Alla pagina del 27 aprile dell’agenda La Redoute 1971 su cui annota gli avvenimenti della propria vita, scrive che il molare l’ha svegliata due volte, che il padrone di casa le ha comunicato un aumento dell’affitto, che un cliente dell’albergo ha fatto l’imitazione di Fernand Raynaud, che dopo un’ora di attesa ha approfittato dell’uscita di un idraulico dallo stabile per infilare una busta vergine nella cassetta delle lettere a nome Maldini. All’interno tre frasi d’inchiostro turchese formulano una richiesta di appuntamento ma senza fornire le informazioni che lo rendano possibile.

Published September 2, 2024
© François Bégaudeau


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Bellinzona (CH), 12-15 settembre 2024

Nel 2024 Babel si rivolge alla Francia, la nazione dove forse più che altrove in Europa letteratura e pensiero filosofico – da Voltaire e Rousseau fino a Sartre, De Beauvoir e Camus, passando per Hugo e Zola – si sono confrontati intimamente con le questioni sociali, dando vita ad alcune delle più significative opere letterarie dell’Occidente.
Babel France va in cerca delle metamorfosi contemporanee di questa grande tradizione, ne indaga tecniche e strumenti, si chiede quali sono le problematiche con cui oggi sembra imprescindibile fare i conti – le differenze di classe, il passato coloniale, il neoliberalismo, la deturpazione del paesaggio, la crisi climatica, il capitalismo finanziario? – e come queste si traducono in letteratura per poi ritradursi in una più acuta coscienza del mondo.
Babel France invita autrici e autori che, lontani dal mero messaggio politico, mischiando e a volte stravolgendo i generi, provano a rendere una testimonianza complessa e stratificata dei traumi e delle aspirazioni di un intero paese, e di come questi si ripercuotono sui singoli individui. Perché la letteratura, per sua stessa vocazione, riporta continuamente alla dimensione umana e ci svela ciò che i densi manuali di teoria politica o di sociologia non riescono a prevedere.

Tra gli ospiti: Laurent Mauvignier, Sandra Lucbert, Gauz’, Diaty Diallo, Seynabou Sonko, Elitza Gueorguieva, Clément Camar-Mercier, Lorenzo Flabbi, Massimo Gezzi. Sara Rossi Guidicelli, Amiata, Jürgen Nefzger.

In attesa del festival, Specimen pubblica una serie di testi legati al tema dell’edizione 2024.


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