Il sonno del fuoco
Written in Italian by Emanuele Trevi
Tutto quello che pensi è sbagliato.
Tutto quello che hai pensato era sbagliato.
Tutto quello che penserai sarà sbagliato.
Le favole, per un verso o per l’altro, si assomigliano tra loro, raccontano sempre la stessa cosa. Ma ognuno ha la sua, come un segno zodiacale, e per me La bella addormentata nel bosco non ha mai avuto rivali. C’è stato un periodo della mia vita, potevo avere cinque o sei anni, che l’ascoltavo ogni giorno decine di volte. Infilavo il disco nel mangiadischi e via, ancora e ancora. Alla fine della favola, il mangiadischi espelleva il disco, come una lingua nera e circolare uscita dalla fessura di una bocca, e bastava una lieve pressione per ricominciare da capo. Paragonato a un genitore o a qualunque altro adulto, il mangiadischi aveva l’indubbio vantaggio dell’obbedienza meccanica, ed era disposto a ripetere la favola, senza introdurre fastidiose variazioni e senza distrarsi, all’infinito. Lungi dal chiarirne o esaurirne il senso, la ripetizione stringe e complica i nodi del mistero, del destino, del desiderio. C’è sempre qualcosa che manca alla vita e che spinge fuori di casa, lontano dalla strada più battuta. Anche a costo di affrontare i pericoli in agguato, le storture, gli ostacoli. Così va la vita e l’insoddisfazione del principe è il motore del mondo. Questi dischi si compravano in edicola e si chiamavano Le fiabe sonore.
Tutto quello che penseresti sarebbe sbagliato.
Tutto quello che pensasti fu sbagliato.
Tutto quello che pensavi.
Il punto cruciale della favola è che una minaccia di morte possa venire corretta, attenuata in attesa di tempi migliori. La fata buona, rimasta fino all’ultimo nascosta, corregge la maledizione della fata malvagia, offesa perché non è stata invitata al battesimo della principessa. Nessuno può eliminare il male compiuto, ma è pure possibile trasformarlo, allontanarlo dalla sua letteralità. È il disinteresse con cui vengono elargiti a rendere efficaci i doni delle fate. Così, quando la principessa toccherà il fuso, non morirà, ma piomberà in un sonno così profondo che sarebbe difficile anche solo pensare a dei movimenti del corpo, a dei sogni. Quando la principessa trascina nella sua incoscienza tutto il castello e i suoi abitanti, anche il fuoco che ardeva sotto lo spiedo si addormenta, afferma la favola. Buttato lì nel racconto quasi per caso, alla maniera di una semplice esagerazione, questo sonno del fuoco è il prodigio centrale, il momento della storia che più mi affascinava, che mi dava la sensazione che di lì non si poteva più tornare indietro, nello squallore del verosimile. C’è sempre un punto, un lato, un bivio in cui una storia si allontana dalla verità in modo quasi intollerabile e irreversibile. Lì sei costretto a immaginare un fuoco che dorme. Se la storia finisse proprio lì, non potresti più trovare la strada che ti riporta a casa tua. Ai tempi del mangiadischi e delle Fiabe sonore, pensavo solo a diventare un uomo, come il principe. Si trattava di una serie di immagini mentali e fantasie abbastanza stereotipate. Ottenevo il rispetto degli altri uomini in locali annebbiati dal fumo delle sigarette e frequentati da donne equivoche che avevano i volti delle monache più giovani e belle della mia scuola.
Tutto sbagliato.
Tutto quello che.
Sbagliato.
Solo molto tempo dopo, quando diventare un uomo si era mostrata una faccenda insieme più complessa e deludente, avrei scoperto che il titolo della fiaba di Charles Perrault è ben diverso da quello italiano. In francese suona La belle au bois dormant, è il bosco che è addormentato, mentre noi diciamo La bella addormentata nel bosco, come a lasciare sola la principessa nella sua avventura, di cui peraltro non ha nessuna colpa. C’è una bella differenza tra una principessa in un bosco addormentato e una principessa addormentata nel bosco. Come una di quelle illusioni ottiche in cui le forme concave diventano convesse o viceversa.
Tutto sbagliando quello che pensi.
Che quello che pensi sia sbagliato.
Sarà tutto.
Per quanto la mia memoria riesca a spingersi indietro, verso quell’origine in cui una storia è ascoltata la prima volta, non ricordo di aver mai desiderato che il principe, finalmente, svegliasse la principessa con il suo famoso bacio. Mai lieto fine è stato capace di distruggere un incanto così attraente: il mondo che dorme, esseri umani bestie e oggetti inanimati che affondano nel liquido amniotico del sonno come se davvero ci fosse il tempo per una seconda nascita. Non ho mai desiderato che la favola ripristinasse l’ordine del mondo, il movimento del tempo, la coscienza della morte. Quello che cerco è la durata dell’incantesimo, il fuoco addormentato, il silenzio del bosco. Non ho mai desiderato fino in fondo diventare un uomo.
Quello che.
Era sbagliato.
Tutto quello che pensi è sbagliato.
Published October 29, 2020
© Emanuele Trevi per Eventi letterari Monte Verità
Everything that you think is wrong.
Everything that you thought was wrong.
Everything that you’ll think will be wrong.
Fairy tales, somehow or other, echo one another, always telling the same story. But everyone has their own, like a zodiac sign, and for me Sleeping Beauty has always been unparalleled. Its full title was originally Sleeping Beauty in the Woods. There was a time, I must’ve been five or six, that I listened to it dozens of times each day. I’d push the vinyl into my portable record player and be swept away, over and over again. At the end, the record player would spit it halfway out, like a circular black tongue sticking out of its slit of a mouth, and a little push was all it took to start over again. Compared to a parent or any other adult, the record player offered the distinct advantage of mechanical obedience, willing and able to repeat the fairy tale—without introducing annoying variations or getting distracted—ad infinitum. Far from clarifying or exhausting meaning, repetition complicates and ties ever tighter the knots of mystery, destiny, and desire. There’s always something missing in life, which spurs one to leave home and venture far off the beaten path. Even when it means facing hidden dangers, twists and turns, or obstacles. That’s just how life is, and that basic dissatisfaction is what makes the world go round. These records could be bought at the newsstand, and were called Le fiabe sonore, audio fairy tales.
Everything that you might think would be wrong.
Everything that you thought always was wrong.
Everything that you used to think.
The crux of the fairy tale is that the threat of death might be set straight, softened, in hopes of better times ahead. The good witch, who remains hidden until the very end, corrects the curse of the evil witch, who was offended at not being invited to the princess’s baptism. No one can undo the curse entirely, but it can be transformed, distanced from its literal iteration. The disinterest with which they are bestowed is what renders the witches’ gifts effective. Thus, when the princess touches the spindle, she doesn’t die, but she’s plunged into a sleep so deep that even the slightest movement or dream become unthinkable. As the princess slips into unconsciousness, the whole castle and all its inhabitants, even the fire burning under the spit, all fall asleep, the story goes. Tossed into the tale almost by chance, sounding like mere exaggeration, this slumbering fire is the story’s main marvel, the point that fascinated me the most, that gave me the feeling that from then on there was no going back into the squalor of the real world. There’s always a point, a shift, a juncture where a story veers away from the real world, from truth, in an almost intolerable, irreversible way. Where you’re forced to imagine a fire falling asleep. If the story ended there, you’d no longer be able to find the path leading you home. Back when I was listening to Le fiabe sonore on my portable record player, I thought only of becoming a man, like the prince. My mind held a bunch of mental pictures and fairly stereotypical fantasies. I imagined gaining the respect of my fellow men in taverns thick with smoke, frequented by shady women whose faces were those of the youngest, prettiest nuns from my school.
All wrong.
Everything that.
Wrong.
Only much later, after becoming a man and discovering the matter was rather more complex and disappointing than I’d imagined, did I discover that Charles Perrault’s version of this fairy tale bore a title different from the Italian one. In French it’s La belle au bois dormant, and it’s the woods that are asleep. In Italian it’s La bella addormentata nel bosco, as if to leave the princess all alone on her somnolent adventure—a situation for which she bears no guilt. There’s quite a difference between a princess in the sleeping woods and a princess sleeping in the woods. It’s like one of those optical illusions where concave shapes become convex and vice versa.
Getting everything that you think wrong.
May what you think be wrong.
Will be all.
As good as my memory is at diving back into the past, to recall the time I first heard a story, I don’t remember ever wanting the prince to wake the princess up with that famous kiss. Never has a happy ending so ably destroyed such an alluring enchantment: an entire world asleep—human beings, beasts, and inanimate objects sinking into the amniotic liquid of slumber, as if there really were time to be born anew. I’ve never wanted the fairy tale to restore the pristine order of the real world, time’s forward motion, or our awareness of death. I seek the lasting spell, the sleeping fire, the woods’ silence. Deep down, I’ve never really wanted to become a man.
That which.
Was wrong.
Everything that you think is wrong.
Published October 29, 2020
© Alta Price 2020
© Specimen 2020
Alles, was du denkst, ist verkehrt.
Alles, was du gedacht hast, ist verkehrt gewesen.
Alles, was du denken wirst, wird verkehrt sein.
Märchen gleichen einander auf die eine oder andere Weise, sie erzählen immer dasselbe. Doch wie ein Sternzeichen hat jeder Mensch sein eigenes, und für mich war und blieb Das Dornröschen oder die schlafende Schöne im Wald unangefochten die Nummer eins. Es gab eine Zeit in meinem Leben, ich war vielleicht fünf oder sechs Jahre alt, da hörte ich es jeden Tag dutzende Male. Ich schob die Platte in den tragbaren Plattenspieler, und schon ging’s los, wieder und wieder. Wenn das Märchen zu Ende war, streckte das Gerät die Platte heraus wie eine schwarze, runde Zunge aus dem Schlitz eines Mundes, und man brauchte sie nur leicht anzutippen, um wieder von vorn anzufangen. Verglichen mit den Eltern oder jedem anderen Erwachsenen hatte der Plattenspieler den unzweifelhaften Vorteil des mechanischen Gehorsams, bereitwillig wiederholte er das Märchen unendlich oft, ohne störende Abwandlungen und Zerstreutheiten. Die Wiederholung, weit davon entfernt, den Zusammenhang von Geheimnis, Schicksal und Begehren aufzuklären oder erschöpfend zu deuten, schnürt und knüpft ihn zu immer festeren Knoten. Irgendetwas fehlt im Leben immer und treibt einen fort von zu Hause, fernab der ausgetretenen Pfade. Auch wenn man lauernde Gefahren, Irrwege, Hindernisse in Kauf nehmen muss. So läuft das Leben, und die Unrast des Prinzen ist die Triebkraft der Welt. Die Platten gab es am Kiosk zu kaufen, und sie hiessen Le fiabe sonore – Klingende Märchen.
Alles, was du denken würdest, es wäre verkehrt.
Was immer du gedacht hattest, es war verkehrt.
Alles, was du dachtest.
Der Knackpunkt an dem Märchen ist, dass eine Todesdrohung korrigiert und in Erwartung besserer Zeiten abgemildert werden kann. Die gute Fee, die sich bis zuletzt verborgen halt, schwächt den Fluch der bösen Fee ab, die beleidigt ist, weil man sie zur Taufe der Prinzessin nicht eingeladen hat. Niemand kann das einmal angerichtete Böse einfach auslöschen, doch es lässt sich umwandeln, von seiner Buchstäblichkeit abrücken. Die Feengaben wirken durch die Uneigennützigkeit, mit der sie verschenkt werden. Deshalb wird die Prinzessin, wenn sie die Spindel anrührt, nicht sterben, sondern in einen solch tiefen Schlaf sinken, dass an Bewegungen des Körpers, an Träume nicht einmal mehr zu denken ist. Als die Prinzessin das ganze Schloss mitsamt seinen Bewohnern in ihre Bewusstlosigkeit mit hineinzieht, schläft, wie das Märchen behauptet, auch das Feuer ein, das eben noch unterm Bratspiess loderte. Obwohl beinahe zufällig, nach Art einer einfachen Übertreibung in die Erzählung eingestreut, ist das schlafende Feuer das zentrale Wunder, der Augenblick in der Geschichte, der mich am meisten faszinierte und mir das Gefühl gab, von dort aus führe kein Weg mehr zur schnöden Wahrscheinlichkeit zurück. Es gibt immer einen Punkt, eine Seite, einen Scheideweg, wo sich eine Geschichte in gewissermassen unerträglicher und unumkehrbarer Weise von der Wirklichkeit entfernt. Hier bist du gezwungen, dir ein schlafendes Feuer vorzustellen. Würde die Geschichte genau an dieser Stelle enden, du könntest den Weg nach Hause nie mehr wiederfinden. Damals zur Zeit der tragbaren Plattenspieler und der Klingenden Märchen wollte ich nur ein Mann werden, wie der Prinz. Es handelte sich um eine Reihe von ziemlich stereotypisierten Gedankenbildern und Fantasien. Den Respekt der anderen Männer erwarb ich mir in verqualmten Lokalen im Umgang mit verruchten Frauen, die die Gesichter der jüngsten und schönsten Nonnen aus meiner Schule trugen.
Alles verkehrt.
Alles, was.
Verkehrt.
Erst sehr viel später, als ein Mann zu werden sich als eine kompliziertere und zugleich enttäuschendere Angelegenheit erwiesen hatte, entdeckte ich, dass der Titel des Märchens von Charles Perrault sich vom italienischen unterscheidet. Auf Französisch lautet er La belle au bois dormant, es ist der Wald, der schläft, während es bei uns heisst La bella addormentata nel bosco (Die schlafende Schöne im Wald), als würden wir die Prinzessin bei ihrem Abenteuer, für das sie im Übrigen rein gar nichts kann, im Stich lassen. Zwischen einer Prinzessin in einem schlafenden Wald und einer schlafenden Prinzessin im Wald besteht ein ziemlicher Unterschied. Wie bei einer jener optischen Täuschungen, bei denen konkave Formen konvex werden und umgekehrt.
Machst alles verkehrt, was du denkst.
Dass alles, was du denkst, verkehrt sei.
Es wird alles sein.
So weit meine Erinnerung auch zurückreichen mag, hin zu jenem Anfang, an dem man eine Geschichte zum ersten Mal hört, ich kann mich nicht entsinnen, mir jemals gewünscht zu haben, der Königssohn möge die Prinzessin endlich durch seinen berühmten Kuss aufwecken. Noch nie hat ein glückliches Ende es vermocht, einen so verlockenden Zauber zu brechen: die schlafende Welt, menschliche Wesen, Tiere und unbelebte Dinge, die in das Fruchtwasser des Schlafs eintauchen, als wäre da wirklich Zeit für eine zweite Geburt. Nie habe ich mir gewünscht, das Märchen möge die Ordnung der Welt wiederherstellen, die Bewegung der Zeit, das Wissen um den Tod. Wonach ich suche, ist die anhaltende Verzauberung, das schlafende Feuer, die Stille des Waldes. Letztlich habe ich mir nie gewünscht, ein Mann zu werden.
Das, was.
Es war verkehrt.
Alles, was du denkst, ist verkehrt.
Published October 29, 2020
© Martina Kempter 2020
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