La rüsümada
Written in Italian by Giorgio Orelli
La rüsümada, rosso d’uovo sbattuto con lo zucchero come nello zabaione ma il marsala cede al vino, l’abbiamo provata tutt’e due, io e mio padre, è bastato un sorso perché ci sbiadisse un urto di vomito. Mio padre aveva accettato più che volentieri un caffè con la grappa, io che non bevevo caffè e non avevo sete ho detto di non disturbarsi che andava bene così, ma all’Antonina si vedeva che rincresceva proprio, e quando a un tratto le è venuta in mente la rüsümada e me l’ha offerta con gioia, non ho rifiutato, convinto che mi sarebbe piaciuta non meno di quella preparata tante volte da mia madre per tirarmi su.
Vedova da molto tempo e senza figli, l’Antonina non aveva voluto tornare nel suo Veneto e s’era dapprima contentata di vivere a Bellinzona in due stanze coi ritratti del generale Guisan e di papa Roncalli. D’estate soleva fare un po’ di vacanza a Bedretto, dove ha conosciuto mio padre.
Ci vuole un po’ di tempo per preparare questa ovovinosa riassunzione di sé che è la rüsümada, gradita soprattutto ai bèrgum che vengono da noi per la fienagione. Prendo dalle mani gaette dell’Antonina la tazza blu piena schiumante per una bevuta ingorda ma di colpo ho provato quel disgusto che ho detto. Né la donna né mio padre, distratti in una conversazione tutta accesa di bei ricordi estivi, hanno colto la mia smorfia. Posata la tazza sul tavolo come se niente fosse e non proferendo parola perché non osavo, desideravo che il tempo passasse per correre a cambiar bocca in qualche bar; ma presto l’Antonina s’avvede che ho l’aria di averla dimenticata, la rüsümada, e quasi materna mi chiede se alle volte non mi va, che può ben capitare neh; dico no no tutt’altro mi piace eccome l’ho sempre bevuta ma oggi si vede che non ho tanta sete. Mio padre comincia a guardarmi come se stessi offendendo l’intera dinastia, e ai miei cenni inequivocabili di rinuncia sembra sul punto di brancare la tazza con più voracità che rabbia. Ah voglio vederti adesso caro il mio genitore se sei buono di far finta di niente, qui si parrà la tua nobilitate.
S’è mosso sicuro e cauto insieme, come quando hanno aperto dopo tanti anni la bandita del Cristallina e siamo andati insieme a caccia, l’ultima volta per lui, non più giovane e leggero; e già calata la sera sui pascoli estremi ho incontrato mio cugino Turi, il più allegro dei miei cugini, che veniva dalla capanna, e abbiamo cominciato a chiacchierare come se fossimo all’osteria; ma mio padre aveva adocchiato una marmotta di quelle che non fischiano neanche più e al tramonto si attardano volentieri nel cavo d’un macigno; e a un tratto si volta verso di noi che lo seguivamo a una decina di passi e tutto serio, quasi crucciato, ci fa segno di star zitti e poi, fatta una corsettina quasi giovanile, si ferma, si allunga bocconi sul prato, dà un’occhiata col binocolo, mira e presto, con calma, spara: l’ha presa, caro mio, l’ha presa!, escalama mio cugino, e tutt’e due facciamo festa a mio padre.
Veri cacciatori non eravamo di certo, né mio padre né io che ho ucciso una sola marmotta, un solo fagiano di monte, mai un camoscio, mai un cervo, un capriolo… Non ricordo neanche se avevamo il fucile quando siamo andati al Tremorgio e abbiamo dormito in una cascina abbandonata in riva al lago, con un’unica coperta tutta sbrindellata, e durante la notte ci ha svegliati un picchiare fitto contro il finestrino, era un uccello ramingo di cui non sapevamo il nome, che continuava a picchiare e mio padre ha citato il Carducci: “Spiriti reduci son, vengono e chiamano a me…”
Aveva letto anche la Divina Commedia, mio padre, non erano rare le occasioni in cui poteva dire: “Non ti curar di lor, ma ‘maia’ e ‘piaca’”, come non raramente sentenziava: “In illo tempore non si commettevano certi abusi”; oppure: “Ogni cosa a suo tempo”, che attribuiva a Sant’Agostino pur sapendo che è dell’Ecclesiaste e suona un po’ diverso: “Ogni cosa ha il suo tempo”.
Spesso mi torna in mente anche come bruscamente s’è girato, mio padre, su un sentiero a mezza costa, verso una vecchia stalla spalancata, per sùbito raddrizzarsi e accelerare il passo nel caldo pomeriggio estivo: contro il fieno abbondante due giovani si stringevano appassionatamente. Tutt’altro che disposto a parlar ai suoi figli di cose, diciamo, peccaminose, mio padre non ha proferito motto alcuno: ancora, mentre scrivo, ascolto l’odoroso silenzio in cui tutto è avvenuto, e rivedo gli alveari che proprio lì, su quella costa, mio padre ha diligentemente tenuto per qualche anno. Ci andava talmente coperto per proteggersi che sembrava un cosmonauta, e a me, senza nemmeno un berretto, diceva: “Se stai tranquillo non ti fanno niente”, come se gli sciami non fossero d’api ma di moscerini. Fatto sta che prestissimo un’ape ha pensato bene di cercarmi intorno alla nuca, sotto il colletto della camicia, ma forse non è riuscita a pinzarmi perché, scappando di corsa su per la costa, mi sono colpito con tutt’e due le mani, non ricordo se mi s’è gonfiato il collo.
Sì che dunque è un piacere speciale vedere adesso mio padre inghiottire ad occhi chiusi la rüsümada, lui che non ha mai voluto assaggiare una lumaca, eccolo che chiama stravolto l’Antonina, forse già attanagliata dal dubbio là sotto lo sguardo mite di papa Giovanni, fra cucina e tinello: “Mi dispiace ma non c’è verso di mandarla giù questa rüsümada”.
Era andata meglio coi ravioli dell’amico ferroviere, scapolo che si vantava delle sue conoscenze culinarie e arricchiva i ravioli riempiendoli d’una ricotta non comune: molto meglio, giurava, che con la carne o la verdura. Ma dove li deponeva i ravioli appena fatti col loro bel marciapiede? Li sistemava su un lurido canapè, dove non si era mai insognato di stendere almeno un tovagliolo; sicché a mio padre, malgrado la simpatia e la buona volontà, veniva da rimettere. Ma non ha protestato, ha taciuto, e durante il pranzo, nelle assenze dell’amico per tornare in cucina, correva a un balcone per sputare i ravioli in un orto: mah.
Questa volta non ha tardato a prendere l’aria invidiabile di chi da sempre non confida più di tanto nella sorte, e pur senza ridere pareva che cercasse di affrettare anche in me lo smaltimento del rossume traditore. Ma l’Antonina alza d’un tratto al cielo le braccia: “Scusatemi, l’ho fatta grossa, ci ho messo sale invece di zucchero, ma si può, ma si può!”
Published February 13, 2018
© Eredi Giorgio Orelli
Both of us, my father and I, tried the rüsümada, where egg yolk is beaten with sugar as if in a zabaglione, but with wine instead of marsala. A sip was enough to trigger a wave of nausea. My father had happily accepted a coffee with grappa, I didn’t drink coffee and wasn’t thirsty so I said I was fine without anything, but you could tell that Antonina felt bad about it, so when she suddenly had the idea of making a rüsümada and enthusiastically offered it to me I accepted, certain I’d like it as much as the one my mother had made for me so many times as a pick-me-up.
Widowed for some time and childless, Antonina hadn’t wanted to return to the Veneto region she came from and had instead settled in a two-bedroom apartment in Bellinzona with paintings of Swiss Army General Guisan and Pope Roncalli. In the Summer she would go on holiday to Bedretto, which is where she met my father.
It takes some time to prepare the eggy boost that is a rüsümada, which is particularly popular among the Italians who come to us during the haymaking period. I take the full blue bubbling cup from Antonina’s eager hands and have a greedy gulp, but am immediately overwhelmed by the nauseating sensation I mentioned earlier. Neither her nor my father, busy sharing Summer memories, notice my grimace. I place the cup on the table as if nothing is amiss and don’t say a word because I don’t dare, hoping that time will pass and I’ll be able to dash to a nearby bar and clear the taste in my mouth with another drink. But soon Antonina notices that I seem to have forgotten about the rüsümada and asks me with almost maternal concern if I don’t like it, after all it can happen. No no, I say, I do like it, I’ve always drunk it but I must just not be very thirsty today. My father starts looking at me as if I were insulting our entire dynasty, and seems about to grab the cup with more voracity than rage in response to my undeniable signs of surrender. Ah, I want to see you now, dear father of mine, let’s see if you’re able to follow through, here comes the test of your true mettle.
His movements are both confident and cautious, just like the time they’d lifted the hunting ban in Cristallina after many years and we went hunting together in what was to be his last time, no longer young and light-footed as he used to be. Dusk had already fallen on the pasture lands when I bumped into my cousin Turi, my most cheerful cousin, coming out of the hunting lodge, and we started to chat as if we were at the pub; but my father had spied a marmot, one of those ones who don’t make a sound and like to nestle in rocky hollows at dusk; he suddenly turned to us as we followed him ten or so paces behind and with a serious, almost worried face, signalled to us to be quiet. Then, after an almost youthful sprint, he stopped, lay face down on the grass, looked through his binoculars, took aim and, quickly and calmly, pulled the trigger. He got it, he got it! My cousin exclaimed, and we both showered my father with compliments.
My father and I were far from being true hunters. I’d only ever killed a single marmot, a single black grouse, never a chamois, never a stag, never a roe deer… I don’t even remember if we had a rifle when we went to Tremorgio and slept in an abandoned barn by the lake under a single tattered blanket. We were awoken during the night by a dense tapping against the window pane, it was an errant bird whose name we didn’t know, and who kept tapping away. My father quoted Carducci: “Ghosts of old friends who return, calling on me to depart…”
My father had read the Divine Comedy too, and on many an occasion would say: “Let us not speak of them, but eat up and shut up”. He’d also often state: “In illo tempore certain things did not happen”, or “Everything at its time”, which he attributed to Saint Augustine even though he knew it was from Ecclesiastes and is not quite the same as “Everything has its time”.
I often also think of the time my father suddenly stopped halfway up a mountain path and turned towards an old barn with the doors wide open, only to then immediately speed away in the hot Summer sun: a young couple was passionately embracing in the abundant hay. Far from being inclined to talk about such, well, sinful things to his children, my father didn’t utter a word; even now, as I write, I can hear the heavy silence in which it all took place, and I can see the beehives that my father had diligently kept on that very mountain path for some years. He’d be so covered up to protect himself that he looked like an astronaut, and he’d say to me, without so much as a hat on, “If you stay calm they won’t hurt you”, as if they were swarms of midges rather than bees. In no time at all a bee decided to explore my head, of course, venturing under my shirt collar, but perhaps it didn’t manage to sting me: I ran up the path hitting myself with both hands. I don’t remember whether my neck swelled up.
So it’s a real pleasure to see my father now swallowing the rüsümada with his eyes closed. My father, who has never even wanted to taste a snail, here he is calling out to Antonina, who is perhaps already starting to doubt in her concoction as she stands under the mild gaze of Pope John: “I’m sorry but this rüsümada is undrinkable”.
It had gone better with the ravioli made by his friend who worked on the railways, a bachelor who boasted of his culinary knowhow and filled his ravioli with a special ricotta, which he swore was much better than meat or vegetables. But where did he put those freshly made ravioli with their neat little scalloped edges? On a filthy couch, without dreaming of putting so much as a napkin down beforehand; it made my father want to retch, despite his kindness and best intentions. But he didn’t protest, he kept quiet, and during lunch, when his friend popped out to the kitchen, he’d run to the balcony to spit out the ravioli among the plants.
This time it wasn’t long before he started to look like a man who’s never had much faith in his lot, and he seemed to be urging me to help him get rid of the treacherous red concoction. But all of a sudden Antonina raised her arms up in the air and exclaimed: “Forgive me, it’s all my fault, I only went and put salt in instead of sugar, oh dear me, dear me!”
Published February 13, 2018
© The Giorgio Orelli Estate
La rüsümada, du jaune d’œuf battu avec du sucre comme pour le sabayon mais où le marsala cède la place au vin, nous l’avons goûtée tous les deux, mon père et moi, et il a suffi d’une seule gorgée pour qu’un haut-le-cœur nous fasse blêmir. Mon père avait accepté fort volontiers un café arrosé de grappa ; moi qui ne buvais pas de café et n’avais pas soif, je lui ai dit de ne pas se déranger, que ça allait bien comme ça, mais ça l’embêtait clairement, Antonina, et quand tout à coup elle a pensé à la rüsümada et qu’elle m’en a offert une toute contente, je n’ai pas refusé, persuadé que ça allait me plaire tout autant que celle que me préparait si souvent ma mère pour que je me requinque.
Veuve depuis longtemps et sans enfant, Antonina n’avait pas voulu retourner dans sa Vénétie natale. Dans un premier temps, elle s’était contentée de vivre à Bellinzone dans deux pièces entourée des portraits du général Guisan et du pape Roncalli. L’été, elle avait coutume de partir en vacances à Bedretto, où elle a connu mon père.
Il faut un peu de temps pour préparer cette mixture ovovineuse remontante qu’est la rüsümada, prisée notamment des bèrgum, les faucheurs bergamasques qui viennent faire les foins chez nous. Je prends des mains tachetées d’Antonina la tasse bleu foncée pleine de mousse, pour une lampée goulue, mais voilà que j’éprouve tout à coup le dégoût dont j’ai parlé plus haut. Ni la dame ni mon père, l’esprit distrait par une conversation avivée par de beaux souvenirs d’été, n’ont remarqué ma grimace. Puis la tasse posée sur la table comme si de rien n’était, sans oser rien dire, je désirais que le temps passe pour aller me refaire le palais dans le bar le plus proche ; mais très vite Antonina s’aperçoit que j’ai l’air d’avoir oublié sa rüsümada et, d’un ton presque maternel, elle me demande si des fois ça ne me plairait pas, ça peut bien arriver, hein. Je réponds non non, au contraire, j’aime ça, et comment ! j’en ai toujours bu mais aujourd’hui, faut croire que je n’ai pas trop soif. Mon père se met à me regarder comme si j’étais en train de faire offense à l’ensemble de notre dynastie et, à mes signes sans équivoques de renoncement, il semble sur le point d’attraper la tasse avec plus d’avidité que de colère. Et bien maintenant j’aimerais voir comment tu vas t’en sortir, mon cher géniteur, c’est ici que ta noblesse apparaîtra.
Il a agi avec assurance et prudence à la fois, comme la fois où a été rouverte après de nombreuses années la réserve de Cristallina et que nous sommes partis ensemble à la chasse, ce serait la dernière fois pour lui, il n’était plus tout jeune ni très leste. La nuit tombait déjà sur les derniers pâturages lorsque j’ai rencontré mon cousin Turi, c’était le plus joyeux de mes cousins, il arrivait du refuge, nous avons commencé à causer comme si on était au bistrot. Mais mon père avait aperçu une marmotte, de celles qui ne sifflent même plus et qui, au crépuscule, s’attardent volontiers au creux d’un rocher, et tout à coup le voilà qui se tourne vers nous qui le suivions à une dizaine de pas et, l’air très sérieux, presque fâché, il nous fait signe de nous taire puis, après une course digne de sa jeunesse, il s’arrête, s’allonge à plat ventre dans l’herbe, donne un coup d’œil à travers ses jumelles, vise et rapidement, calmement, il tire : il l’a eue, mon vieux, il l’a eue !, s’exclame mon cousin, et tous deux nous faisons fête à mon père.
Nous n’étions évidemment pas de vrais chasseurs, ni mon père ni moi d’ailleurs qui ai tué en tout et pour tout une seule marmotte, un seul faisan de montagne mais jamais de chamois, de cerf ni de chevreuil… Je ne me souviens même pas si nous avions un fusil quand nous sommes allés au lac Tremorgio et que nous avons dormi dans une ferme abandonnée au bord du lac, sous une seule et unique couverture toute usée, et que pendant la nuit nous avons été réveillés par quelque chose qui frappait avec insistance contre la vitre, c’était un oiseau errant dont nous ne connaissions pas le nom, il continuait à taper et mon père a récité du Carducci : « ce sont des esprits qui reviennent, qui viennent vers moi et m’appellent… ».
Mon père avait aussi lu la Divine Comédie et il n’était pas rare de l’entendre dire : « Ne fais donc point cas d’eux, mange ton encas et boucle-la », de même qu’il décrétait souvent : « In illo tempore de tels abus étaient impossibles » ou bien « Chaque chose en son temps » qu’il attribuait à saint Augustin alors qu’il savait pertinemment que c’était tiré de l’Ecclésiaste qui ne dit pas tout à fait la même chose : « Chaque chose dure un temps ».
Souvent je me remémore aussi la scène où mon père s’est retourné brusquement, sur un sentier à mi-côte, vers une vieille étable grande ouverte, puis s’est aussitôt redressé et a accéléré le pas dans la chaleur d’un après-midi d’été : blottis contre le foin abondant, deux jeunes s’enlaçaient passionnément. Très réticent à l’idée de parler à ses enfants de choses, disons, impures, mon père n’a pas soufflé mot. Aujourd’hui encore, à l’heure où j’écris, j’entends le silence enivrant au milieu duquel tout s’est passé, et je revois les ruches dont mon père s’est occupé avec soin pendant quelques années justement à cet endroit-là, sur cette côte. Il y allait si bien couvert pour se protéger qu’on aurait dit un cosmonaute et moi, qui n’avais même pas une casquette sur la tête, il me disait : « Si tu te tiens tranquille, elles ne t’embêteront pas », comme s’il parlait d’essaims de moucherons et non d’abeilles. Toujours est-il que très vite, une abeille n’a pas trouvé mieux que de venir rôder autour de ma nuque, sous le col de ma chemise, mais peut-être qu’elle n’a pas réussi à me piquer car, m’enfuyant à toute allure vers le haut du sentier, je me suis frappé avec les deux mains, et je ne me rappelle pas si mon cou a gonflé.
C’est donc un réel plaisir de voir aujourd’hui mon père engloutir les yeux fermés la rüsümada, lui qui n’a jamais voulu goûter aux escargots, le voici qui appelle effaré Antonina, peut-être déjà tenaillée par le doute sous le regard indulgent du pape Jean XXIII, entre la cuisine et la salle à manger : « Je regrette mais c’est vraiment pas possible d’avaler cette rüsümada ».
Ça s’était mieux passé avec les raviolis de son ami cheminot, un vieux garçon qui se vantait d’avoir des connaissances culinaires et améliorait ses raviolis avec une ricotta plutôt particulière : c’est bien meilleur comme ça, clamait-il, plutôt qu’à la viande ou aux légumes. Mais où posait-il ses raviolis une fois garnis, avec leur joli rebord ? Il les disposait sur un canapé crasseux, où il ne pensait même pas à étendre ne serait-ce qu’une serviette, tant et si bien que mon père, malgré toute sa sympathie et sa bonne volonté, avait envie de vomir. Mais il n’a pas protesté, il s’est tu et, pendant le repas, lorsque son ami s’absentait pour retourner en cuisine, il courait au balcon pour cracher les raviolis dans le potager : et ben…
Cette fois-ci, il n’a pas tardé à prendre cet air enviable qu’ont ceux qui, depuis longtemps, ne croient plus trop dans le destin et, sans même rire, on eût dit qu’il essayait de hâter chez moi aussi la digestion de cette perfide mixture jaune. Mais voilà qu’Antonina lève soudain les bras au ciel : « Excusez-moi, j’en ai fait une belle, j’y ai mis du sel à la place du sucre, c’est pas permis ça, c’est pas permis ! ».
Published February 13, 2018
© héritiers de Giorgio Orelli
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Giorgio Orelli (Airolo 1921 – Bellinzona 2013) è stato un poeta, critico letterario e traduttore svizzero di lingua italiana. Tra i suoi libri: Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 2015. Quello qui proposto con un titolo redazionale è un estratto del suo racconto inedito, e incompiuto, Suite in là con gli anni (© Eredi Giorgio Orelli, che si ringraziano).
Giorgio Orelli (Airolo 1921 – Bellinzona 2013) was an Italian-speaking Swiss poet, literary critic and translator. His books include the collected poems Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 2015. The text here published with a draft title is an excerpt from his unfinished and previously unpublished work, Suite in là con gli anni (© The Giorgio Orelli Estate, with thanks).
Giorgio Orelli (Airolo 1921 – Bellinzone 2013) est un poète, critique littéraire et traducteur suisse de langue italienne. Parmi ses œuvres, citons Tutte le poesie, Mondadori, Milan, 2015. Le texte proposé ici sous un titre choisi par la rédaction est extrait de son récit inédit et inachevé Suite in là con gli anni (© héritiers de Giorgio Orelli, à qui vont ici nos remerciements)
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