Lectio magistralis in occasione della consegna del Premio Pavese 2020
Written in Italian by Anna Nadotti
| A specimen of Babel: Stories on the loss of the earth’s one speech and the confusion of languages
Dei suoi luoghi d’origine, Cesare Pavese scriveva: «È una terra che attende e non dice parole».
Le Langhe sono una terra bellissima e sobria, che conosco bene e di cui amo i colori e le malinconie. Ma le mie origini sono in una terra che si allunga pigramente verso l’Adriatico, e canta. Imparai (il passato remoto mi è d’obbligo) a leggere e a scrivere a Parma. E oggi, per ringraziarvi di questo premio e delle sue motivazioni, che mi hanno profondamente commossa, desidero fare una cosa soltanto, farvi sentire le voci, non tutte ma almeno alcune delle tante a cui in trentadue anni ho dato la mia per dire e dirsi nella nostra lingua, ritrovandomi spesso zittita, e spaesata e perfino muta per giorni. Così succede, quando si recita a soggetto dato, entrando in scena in punta di piedi quando lo spettacolo è finito. E allo stesso modo uscendone.
«La signora Dalloway disse che i fiori li avrebbe comprati lei». E ce n’erano moltissimi, nel negozio della signorina Pym, «i piselli odorosi si allargavano nelle ciotole, screziati di viola, bianco neve, pallidi… e i delphinium, i garofani e le calle; era quell’attimo fra le sei e le sette in cui ogni fiore risplende – rose, garofani, iris, lillà; bianco, violetto, rosso, arancione intenso; ogni fiore sembrava ardere di luce propria, tenero, puro, nelle aiuole già velate dalla foschia». Come sarebbe stata, quella mattina di Clarissa Dalloway, mi chiedevo? «Fresca, come se fosse scaturita per dei bambini su una spiaggia». A dire il vero, quella mattina sarebbe stata solo l’inizio della giornata di Clarissa, di Peter Walsh e di Septimus Warren Smith, di sua moglie Lucrezia, e di Elizabeth Dalloway, la figlia «non graziosa, direi, bella piuttosto», che la critica aveva finora smarrito, forse perché alla presunta algidità di sua madre oppone una fantasiosa e molto fisica energia di cui la lingua di Woolf dà conto: «Era così piacevole star fuori, all’aperto. Forse non c’era bisogno che tornasse subito a casa. […] Elizabeth si fece avanti e con assoluta disinvoltura salì su un omnibus, per prima. Andò a sedersi al piano alto. […] E adesso pareva di cavalcare, in quella corsa sfrenata su per Whitehall; e a ogni scossa dell’omnibus lo splendido corpo nella giacca fulvo chiaro reagiva con la spontaneità di una cavallerizza, della polena di una nave, perché la brezza le scompigliava un po’ i capelli; il caldo dava alle sue gote il chiarore del legno dipinto di bianco; e i suoi begli occhi, non avendo occhi da incrociare, guardavano avanti, neutri, luminosi, con l’incredibile innocenza di una scultura».
Io leggevo le lunghe stringhe woolfiane e non c’era parola che non fosse in qualche misura aurorale, dovendola tradurre di nuovo, in quel romanzo così noto e amato. E sarebbe stato lo stesso, di lì a poco, traducendo To the Lighthouse. Verso quel faro sono andata per giorni e notti.
«Ma cos’è dopotutto una notte? Uno spazio breve, specialmente quando l’oscurità si attenua così presto, e così presto cinguetta un uccello, un gallo canta, o un pallido verde si affretta, come una foglia che si schiude, nell’incavo dell’onda. La notte, del resto, succede alla notte. L’inverno ne ha in serbo una scorta e le distribuisce equamente, pacatamente, con dita instancabili. Si allungano; si anneriscono. Alcune reggono lassù pianeti chiari, lamine di luminosità. Gli alberi d’autunno, pur devastati, assumono il bagliore di laceri vessilli accesi nell’oscurità di fredde cripte di cattedrali dove lettere dorate su pagine di marmo dicono di morti in battaglia e di ossa calcinate e incenerite fra le lontane sabbie dell’India».
Le sabbie e le città dell’India non erano lontane, anzi, di rado le ho sentite così vicine come nei due anni in cui ho tradotto Woolf. «L’India intera si stendeva alle spalle» di Peter Walsh e «Un passero posato sulla cancellata di fronte cinguettò Septimus, Septimus, per quattro o cinque volte, e continuò, cavando le note dall’ugola, a cantare fresco e penetrante in greco che il crimine non esiste, poi, raggiunto da un altro passero, cantarono in greco all’unisono con note prolungate e acute, dalle chiome degli alberi nel prato della vita al di là di un fiume dove i morti camminano, che non c’è nessuna morte».
Se nei parchi londinesi di quel primo dopoguerra gli uccelli cantavano in greco, a New Delhi, alla vigilia della Partizione, «I cuculi cominciarono a lanciare i loro richiami ancor prima dell’alba. Le loro voci emergevano come un concerto di campane dalle fronde oscure degli alberi, chiamandosi e facendosi eco reciprocamente, schernendosi e istigandosi con trilli via via più acuti. Si affollarono sempre più numerosi mentre il sole saliva nel cielo finché Tara, non riuscendo più a sopportarne il querulo vocio, si alzò e uscì sulla veranda dove trovò soltanto il bagliore del sole estivo che s’insinuava tra le colonne… e dove una silenziosa fila di formiche oltrepassò i suoi piedi e discese i gradini della veranda scomparendo in giardino».
Quale giardino?
«Il giardino di mezzo, creato per uomini increati, assopito nel grembo del tempo»?
O «Un giardino dipinto», o «un giardino essiccato»? per portare in Inghilterra copie perfette di alberi e fiori e sementi orientali, non potendo portare con sé un tangibile giardino cinese: «Paesaggio costruito ad arte di ruscelli e ponti, laghi e colline, rocce e foreste, con sentieri serpeggianti e mura simili a onde».
Oppure «Un giardino galleggiante»? un giardino rubato e trasportato in Europa via mare, i ponti di una goletta come muli beccheggianti…
Dietro ogni giardino inglese, traducendo, intravedi piantagioni, e ogni aggettivo che scegli diventa un’inquadratura, dell’ora e del luogo, di una natura che c’era e non c’è più, e non è sparita per magia: «Prima che fosse disboscato, la bellezza del luogo era al di là di qualunque immaginazione, ma era giungla, fitta, torreggiante, intricata, impraticabile. Era come camminare lungo la navata coperta di tappeti di una chiesa, con le fronde che s’incontravano lassù, lontanissime, formando una volta senza fine… Mesi dopo, sembrava che sul fianco della collina si fosse abbattuta una serie di calamità: enormi strisce di terreno erano ricoperte di cenere e monconi anneriti. Gli operai vivevano in minuscoli tuguri con il tetto di arbusti e foglie. Erano tutti indiani, del sud: lo squallore era inimmaginabile, il pavimento coperto di sudiciume».
Mentre traduco, l’impetuoso rigoglio della giungla malese cede il posto all’ordinata geometria della piantagione, e le pianure indiane solcate dal Gange e il Brahmaputra si coprono dei petali bianchi del papavero da oppio. Tronchi perfetti fluitano lungo i corsi d’acqua sapientemente governati da oo-si, pe-si ed elefanti; «la bandiera inglese sventola sulla fabbrica dell’oppio e i vascelli a bassobordo issano i guidoni della Compagnia delle Indie orientali». E ciò avviene in un moltiplicarsi di lingue, di storie, di voci, di imprecazioni e allegrie. Che fare per darne conto? Tendere l’orecchio, ascoltare. «Nella vita professionale di Kanai c’erano state alcune circostanze in cui l’atto dell’interpretazione gli aveva dato la momentanea sensazione di essere trasportato fuori dal suo corpo e introdotto in un altro. Ogni volta era come se la lingua subisse una metamorfosi: cessava di essere una barriera, una cortina di separazione, e diventava una pellicola trasparente, un prisma che gli permetteva di vedere con altri occhi, di filtrare il mondo attraverso una mente altra dalla sua».
Così succede. Ogni voce scivola a poco a poco in un’altra voce che è e non è la stessa, tersa o arrugginita o rabbiosa o spaventata o amorevole che sia, e tu intanto cominci a sentirne altre, perché lungo quelle stesse rotte si muovono ora nuove imbarcazioni, non più navi negriere, ma scafi sgangherati, da cui provengono altre voci. Di chi? «Ai trafficanti non interessa chi portano nel paese, badano solo ai numeri. A loro basta riempire le barche. Uomini o donne… sono solo corpi», corpi da lavoro. «Non molto tempo prima avevo notato che un precario accampamento stava sorgendo al limite della giungla, a circa sei metri dalla strada, intorno a un piccolo cubo di cemento abbandonato, che doveva essere stato un emporio o un bar. Qualche pezzo d’incerata teso dai tronchi all’edificio fatiscente. C’era un fuoco che bruciava, e seduti intorno dei bimbi piccoli, che lanciavano pigramente bastoncini tra le fiamme. Capivi subito che era un campo di migranti… rohinga, bangla, o quel che è».
Inutile chiedersi dove e quando, perché sai che la risposta è, Qui, adesso. Non ti sei distratta, o persa per strada, o smarrita nel tempo. È che «i libri sono la continuazione l’uno dell’altro, nonostante la nostra abitudine a considerarli separatamente».
È che «lo stormire e il bisbigliare del giardino divennero come curve e arabeschi che fiorivano intorno a un centro di vuoto assoluto».
«[Il signor Ramsay incespicando nel corridoio tese le braccia una buia mattina, ma, poiché la signora Ramsay era morta all’improvviso durante la notte, tese le braccia invano. Rimasero vuote.]».
Cicatrici del testo, premonitrici, le parentesi quadre di Woolf. Cicatrici reali, ossa scompagnate quelle fra cui mi muovo dando voce alle storie di un secolo breve che si allunga in quello successivo: «Le mie aspettative, riguardo a mio padre, erano molto normali. Come quel famoso figlio nell’Odissea – come la maggior parte dei figli, credo – desideravo essere “figlio di un uomo felice, che arriva alla vecchiaia con tutti i suoi beni”. Invece io, a differenza di Telemaco, io continuo, dopo venticinque anni, a sopportare che il padre sia “scomparso nel nulla, ignoto”. Invidio l’irrevocabilità dei funerali. Bramo la certezza. Come dev’essere avvolgere le proprie mani intorno alle ossa, decidere come dar loro sepoltura, carezzare il tumulo di terra e recitare una preghiera».
Cicatrici reali, ossa scompagnate, lividi.
«Li vedevi spesso, bangladesi pelle e ossa con gli occhi arrossati e chiazze scorticate sul viso e le braccia a causa di tutti i pesticidi che spruzzavano. Sempre in movimento. Sempre con l’aria di essere in cerca di qualcosa, e tuttavia sempre un po’ lenti nel muoversi, come se l’aria intorno fosse diventata acqua e loro stessero attraversando il mondo a guado. Camminare in acqua. L’ossigeno risucchiato dal loro mondo…».
Ossigeno…
«Rattopparli se avevano ferite o lividi. Non si doveva vedere niente di brutto, niente carne viva, niente fratture evidenti, cose così… a nessun datore di lavoro piace vedere uomini segnati dalle malattie o coperti di ferite. E le donne meno che mai… bisognava che fossero lavate e pulite. Dio solo sa cos’avevano passato le donne prima di arrivare in questo paese».
Le donne…
«C’è un passo in uno dei tuoi libri, in cui racconti di aver sofferto qualcosa di simile, e io l’ho tradotto con molta attenzione ed estrema cautela, come se fosse qualcosa di fragile che sbagliando avrei potuto rompere o uccidere, perché quel tipo di esperienze non appartiene del tutto alla realtà e l’unica prova è la parola di una persona contro la parola di un’altra. Era importante per me non fraintendere neanche una parola, e dopo ho sentito che se tu avevi legittimato quella semirealtà scrivendone, io l’avevo legittimata di nuovo trasportandola in un’altra lingua e garantendone la sopravvivenza».
«Uno scrittore fa un incantesimo, invitando il lettore nel cerchio magico del mondo del libro. Con parole sottili, chi scrive induce un lettore a sentire un prurito sulla pelle, le labbra che si socchiudono, il sangue che accelera nelle vene». Chi traduce sente più forte che mai il prurito sulla pelle, socchiude le labbra fino all’apnea, sente scorrere il sangue nelle vene con l’insidiosa velocità delle parole, «le parole possono costare delle vite», e a sua volta invita il lettore d’altra lingua in quel medesimo cerchio magico, che lei/lui ridisegna e in cui silenziosamente s’inscrive.
Sono grata a Virginia Woolf, ad Amitav Ghosh, ad Antonia S. Byatt e Anita Desai, a Hisham Matar, Tash Aw e Rachel Cusk.
E vi ringrazio molto, del premio, e di aver letto e ascoltato.
– – –
The myth of Babel tells of the loss of the earth’s one language and one speech, and the confusion of languages. Suddenly every object and every idea assumed a plurality of names, and the oversized tower, symbol of human imagination and hubris, was abandoned within the shadow foreboding its destruction. With an unprecedented series of correlated texts, Specimen explores these magnificent ruins, hearing echoes of the multiplicity of languages and the birth of translation. This collection includes texts about Babel, translation or language, and special translations. In September 2021, 20 years after 9/11, the Babel festival will focus on the multiplication of languages and the present diaspora from the regions of ancient Babylon – the scattering of the children of men over the face of all the earth. >> www.babelfestival.com
Published August 6, 2021
© Anna Nadotti 2020
“Lectio magistralis” (বিশেষ বক্তৃতা) অনুবাদের জন্য চেজারে পাভেসে পুরস্কার
Written in Italian by Anna Nadotti
| A specimen of Babel: Stories on the loss of the earth’s one speech and the confusion of languages
Translated into Bengali by Indrani Das
চেজারে পাভেসে তাঁর জন্মভূমি সম্পর্কে লিখেছিলেন: “এ এমন এক মাটি যা অপেক্ষা করে আর কোনো কথা বলে না।”
লাঙ্গে এক অত্যন্ত সুন্দর ও প্রশান্ত দেশ, যাকে আমি খুব ভালো করে চিনি আর যার সমস্ত রঙ আর বিষন্নতাকে ভালোবাসি। কিন্তু আমার জন্ম এমন এক দেশে যা আদ্রিয়াতিকের দিকে অলস ভাবে প্রসারিত, এবং গান করে। আমি পড়তে ও লিখতে শিখেছিলাম (ঐতিহাসিক ভূতকাল, বয়স দেখে, ব্যবহার করা অবশ্য কর্তব্য) পার্মা শহরে। এবং আজ, এই পুরস্কার আর তার প্রেরণাগুলি, যা আমাকে গভীর ভাবে আবেগ তাড়িত করেছে, তার জন্য আপনাদের ধন্যবাদ জানাতে, আমি শুধু একটা কাজই করতে চাই, আপনাদের স্বর শোনাতে চাই, সবগুলি নয় কিন্তু অন্ততঃ তার কয়েকটি যাতে এই ৩২ বছরে আমি আমারটা দিয়েছি আমাদের ভাষায় বলার জন্য, নিজেকে প্রকাশ করার জন্য। প্রায়শই দেখেছি সেগুলি আমাকে চুপ করিয়ে দিয়েছে, বিভ্রান্ত করে দিনের পর দিন নীরব করিয়ে রেখেছে। এমনই ঘটে, যখন কেউ কাউকে নির্দিষ্ট করে দেওয়া চরিত্রে অভিনয় করে, পা টিপে টিপে দৃশ্যে প্রবেশ করে যখন অনুষ্ঠান শেষ হয়, এবং তেমনি ভাবে সেখান থেকে বেরিয়ে যায়।
“শ্রীমতী ডালোওয়ে বললেন যে তিনি নিজেই ফুল কিনবেন।”
শ্রীমতী পিমের দোকানে বহু রকমই ছিল, “তাদের গামলায় ছড়িয়েছিল নানান রঙের সুইটপী, হালকা বেগুনি, তুষার শুভ্র, ধূসর … ডেলফিনিয়াম, কারনেশান, অ্যারাম লিলি … সময়টা ছিল ৬টা থেকে ৭ টার মধ্যে যখন প্রত্যেকটা ফুল – গোলাপ, কারনেশান, আইরিশ, লাইল্যাক সব উজ্জ্বল দেখায়; সাদা, বেগুনি, লাল, গাঢ় কমলা; প্রতিটি ফুলই যেন কুয়াশা – ঘন কেয়ারিতে কোমলভাবে, শুদ্ধভাবে ঝলকিত হতে থাকে।”
ক্ল্যারিস্সা ডালোওয়ের সেই সকালটা কেমন ছিল, আমি ভেবে অবাক হই? “সতেজ ঠিক যেন বাচ্চাদের কাছে সঁপে দেওয়া সমুদ্র সৈকত।” সত্যি বলতে কি, ওই সকালটা ছিল দিনের সূচনা মাত্র ক্ল্যারিস্সার, পিটার ওয়াল্সের এবং সেপ্টিমাস ওয়ারেন স্মিথ ও তাঁর স্ত্রী লুক্রেশিয়ার এবং তাঁর মেয়ে এলিজাবেথ ডালোওয়ের, যে “ঠিক রূপসী নয়; বরং সুশ্রী” যা সমালোচনায় হারিয়ে গিয়েছিল, কারণ হয়ত তার মায়ের কথিত শীতলতা একটা কাল্পনিক এবং অত্যধিক শারীরিক শক্তির বিরোধিতা করে যার আভাস দেয় উলফের ভাষা: “দ্বারের বাইরে থাকা খুবই উপভোগ্য ছিল। সে ভাবল বোধহয় তার তক্ষুনি বাড়ি ফেরার দরকার নেই। […] এলিজাবেথ এগিয়ে গেল আর দক্ষতার সঙ্গে সবার সামনেই অমনি-বাসে চেপে পড়ল। সে উপরের একটি সীট নিল। […] আর এখন তা ছিল যেন ঘোড়সওয়ারীর মতো, ধেয়ে চলা ওয়াইট হলের দিকে, এবং বাসের প্রত্যেকটি ঝাঁকুনিতে হালকা হলদেটে বাদামী রঙের কোটে মোড়া সুন্দর শরীর অশ্বারোহীর মতো সহজ ভাবে সাড়া দিচ্ছিল, জাহাজের সামনের মূর্তির মতো, মৃদু-মন্দ বাতাসের ছোঁয়া তাকে অল্প বিস্তর অবিন্যস্ত করে তুলছিল; তাপ তার গালে সাদা রঙ বোলানো কাঠের মতো পাণ্ডুরতার ছাপ ফেলছিল; আর তার সুন্দর চোখ দুটি মেলাবার জন্য সামনে আর কোনো চোখ না পেয়ে, সামনে মেলা ছিল, শূণ্য, উজ্জ্বল মূর্তির অবিশ্বাস্য নিষ্পাপ সরল দৃষ্টিতে।”
আমি উলফের লম্বা পংক্তিগুলি পড়ছিলাম ওই বিখ্যাত ও প্রিয় উপন্যাসটি নতুন করে অনুবাদ করার বাধ্যবাধকতায় এবং সেখানে একটিও শব্দ এমন ছিল না যা কোনো না কোনো ভাবে ভোরের সঙ্গে সংযুক্ত ছিল না, একই ব্যাপার হতো, সেখানেও To the Lighthouse অনুবাদ করতে গিয়ে। ওই লাইট হাউসের কাছে আমি দিন আর রাত ফিরে ফিরে গেছি।
“কিন্তু আদতে একটা রাত কি? একটা ছোট্ট স্থান, বিশেষতঃ অন্ধকার যখন তাড়াতাড়ি ফিকে হয়ে আসে, শীঘ্রই একটি পাখি কলরব করে, মোরগ ডেকে ওঠে, হাল্কা সবুজ চট করে স্পষ্ট হয়ে ওঠে, ঢেউয়ের ঘূর্ণনের ভাঁজের মধ্যে পাতার মতো। যাই হোক, রাতের পরেই আসে রাত। শীতের কাছে তার একগুচ্ছ গচ্ছিত রাখে যা সে ভাগ করে দেয় সমানভাবে ক্লান্তিহীন আঙুল দিয়ে। তারা দীর্ঘায়িত হয়; ঘনীভূতও হয়, তাদের কিছু বা তুলে ধরে একরাশ পরিষ্কার গ্রহরাজিকে, উজ্জ্বল থালার মতো। হেমন্তের গাছের সারি, এমনিতেই বিধ্বস্ত, জড়িয়ে নেয় ছিন্ন পতাকার ঝলক যা আছে শীতল ক্যাথিড্রালের গুহার বিষাদের ছোঁয়ায় যেখানে শ্বেতপাথরের পাতায় সোনার অক্ষরে লিখিত থাকে যুদ্ধে মৃত্যুর বর্ণনা আর কিভাবে হাড় পাণ্ডুর হয়ে যায় এবং পুড়ে খাক হয়ে যায় সুদূরের ভারতের বালুকায়।”
ভারতের বালুকারাশি ও শহরগুলি আমার থেকে খুব দূরে ছিল না, বরং, আগে তাদের এত কাছে কখনো অনুভব করিনি যেমন ওই দুই বছরে করেছিলাম যখন আমি উলফ অনুবাদ করছিলাম। পিটার ওয়াল্স এর পিছনে সারা ভারত বিস্তৃত ছিল এবং “একটা চড়াই চড়ে বসল উল্টো দিকের রেলিং এ আর কিচির মিচির করে সেপ্টিমাস, সেপ্টিমাস, বলে চার বা পাঁচবার ডেকে চিৎকার করেই যেতে লাগল, গলার স্বর চড়িয়ে, গেয়ে উঠল নতুন উদ্যমে তীক্ষ্ণস্বরে গ্রীক শব্দে যে কিভাবে সেখানে কোনো অপরাধ নেই আর, একটি চড়াই তার সঙ্গে যোগ দেওয়াতে, তারা গাইতে লাগল দীর্ঘ আর তীক্ষ্ণ স্বরে গ্রীক শব্দে, জীবনের তৃণভূমির গাছ থেকে একটি নদী ছাড়িয়ে যেখানে মৃতরা হেঁটে বেড়ায়, কি করে সেখানে কোনো মৃত্যু নেই।”
যদি যুদ্ধোত্তর লণ্ডনের বাগিচায় পাখিরা গ্রীকে গান করত, তাহলে নতুন দিল্লিতে, দেশ ভাগের প্রাক্কালে, “কোকিলেরা ডাকা শুরু করত দিনের আলো ফোটার আগেই। তাদের স্বর বেজে উঠত অন্ধকার গাছ থেকে ঘন্টা ধ্বনির ঐক্যতানের মতো, ডেকে আর একে অপরের প্রতিধ্বনি করে, এবং নকল করে, ঠাট্টা আর প্রলুব্ধ করত একে অপরকে আরো উঁচু আর তীক্ষ্ণ স্বরে ডাকতে। আরো আর আরো যোগ দিতে লাগল সূর্য ওঠার সঙ্গে সঙ্গে, যখন তারা সহ্য করতে পারল না তাদের গলার ঝগড়াটে দাবি, সে উঠে দাঁড়াল এবং বারান্দায় গেল খুঁজে পেতে গ্রীষ্মের খাঁ খাঁ শূণ্যতার সাদা ঝলকানি যা গোল থামগুলোর মাঝখান থেকে ভেদ করে আসছিল… এবং পিঁপড়েদের একটি নিঃশব্দ সারি তার পায়ের পাশ দিয়ে সিঁড়ি বেয়ে নিচে নেমে যাচ্ছিল বাগানে।”
কোন বাগান? আমি অবাক হলাম। আর মনের চোখ দিয়ে এ. এস. বায়াট এর মধ্যবর্তী বাগান দেখতে পেলাম :
তারা মধ্যবর্তী বাগানে পা দিল, যা তৈরি / না জন্মানো লোকেদের জন্য, কালের কোলে তন্দ্রালু হয়ে।
অমিতাভ ঘোষের “চিত্রিত বাগানগুলি” ও “শুকিয়ে যাওয়া বাগানগুলি” দেখেছি, যা তৈরি ইংল্যাণ্ডে নিয়ে যাবার জন্য, প্রাচ্যের গাছ, ফুল ও বীজ এর নিখুঁত প্রতিরূপ, তৈরি করা হল নিজেদের সঙ্গে একটা বাস্তব চিনদেশিয় উদ্যান না নিয়ে যেতে পেরে: “একটি শৈল্পিক ভাবে সৃষ্টি করা ভূ-দৃশ্য, জলধারাগুলির আর সেতুগুলির, হ্রদগুলির আর পাহাড়গুলির, পাথুরে টিলাগুলির আর জঙ্গলগুলির, সর্পিল পথগুলির আর ঢেউয়ের মতো দেওয়ালের সাহায্যে।”
একটা ভাসমান বাগান দেখি, একটা চুরি করা আর সমুদ্র পথে ইউরোপে বয়ে আনা বাগান, দুই মাস্তুলের ডিঙির ডেক যেমন খচ্চরের পিচ্ছিল পিঠ…
প্রত্যেকটা ইংরেজ বাগানের পেছনে, অনুবাদ করতে করতে, তুমি ঝলক দেখবে আবাদ জমির, এবং প্রতিটি বিশেষণ যা চয়ন করা দৃশ্যকল্প হয়ে ওঠে, সময়ের আর স্থানের, প্রকৃতির যা একদা সেখানে ছিল এবং এখন আর নেই, আর জাদু বলে অদৃশ্য হয়ে যায়নি: “খালি করে দেবার আগে জায়গাটা ছিল কল্পনাতীত সুন্দর, কিন্তু তা ছিল জঙ্গল – ঘন, খাড়াই, জড়িয়ে থাকা দুর্গম জঙ্গল… সেটা ছিল যেন গালিচা পাতা গির্জার মধ্যভাগ দিয়ে হেঁটে চলার মতো, যার অনেক ওপরে গাছের চূড়াগুলি পরস্পরের সঙ্গে মিলিত হত, তৈরি করত এক অন্তহীন, ‘খিলানাকৃতি ছাদের’ শহর … কয়েক মাস পরে পাহাড়ের গা টা দেখে মনে হতো যেন তা বিপর্যয়ের সারির মধ্য দিয়ে জর্জরিত : জমির বিস্তৃত খণ্ড ছাইয়ে আর কালো পুড়ে যাওয়া গাছের কুঁদায় ঢাকা, … শ্রমিকেরা থাকত ক্ষুদ্র খুপরির ভিতর, যার ছাদ তৈরি হত ডালপালা আর পাতা দিয়ে। তাদের সকলেই ভারতীয় ছিল দাক্ষিণাত্য থেকে, তামিল… তার অপরিচ্ছন্নতা ছিল অকল্পনীয়, তার মেঝে নোংরায় আবৃত।”
যখন অনুবাদ করি, মালয়দেশিয় সুদূরপ্রসারী নিবিড় অরণ্য জায়গা ছেড়ে দেয় আবাদ জমির সুবিন্যস্ত জ্যামিতিকে, ভারতের সমভূমিগুলি গঙ্গা ও ব্রহ্মপুত্র প্লাবিত, আবৃত করে রেখেছে আফিম দেওয়া পপি ফুলের সাদা পাপড়ি, সুন্দর কাণ্ডগুলি জলের ধারা বরাবর খুবই বিচক্ষণতার সঙ্গে উ-সি, পে-সি আর হাতির দ্বারা শাসিত। আফিমের কারখানার মাথায় পতপতিয়ে ওড়ে ইংরেজ পতাকা আর নীচের সীমানায় জাহাজে ইস্ট-ইণ্ডিয়া কোম্পানির ছাপ মারা পতাকা শোভায়িত। এমনটা হয় নানান ভাষায়, নানান গল্পে, নানান কথায়, নানান শপথে ও আনন্দের প্রকাশে। কি করা যায় তার হিসেব দিতে? কান পেতে শোনা – “পেশাগত জীবনে দোভাষীর কাজ করতে গিয়ে এক এক বার মুহূর্তের জন্য কানাইয়ের মনে হয়েছে যেন ও নিজের শরীর ছেড়ে অন্য লোকের শরীরের মধ্যে ঢুকে পড়েছে। আর প্রত্যেক বারেই যেন অদ্ভূত ভাবে বদলে গেছে ভাষা নামে যন্ত্রটার ভূমিকা, যা ছিল একটা বেড়ার মতো, একটা আড়াল-করা পর্দার মতো, সেই ভাষাই যেন হঠাৎ হয়ে গেছে স্বচ্ছ একটা আবরণ, একটা কাচের প্রিজম। অন্য আরেক জোড়া চোখের ভেতর দিয়ে তখনও দেখেছে বাইরেটাকে, অন্য আরেকজনের মনের ভেতর দিয়ে জগৎটা এসে পৌঁছেছে ওর কাছে।”
এমনই ঘটে। প্রত্যেকটা স্বর পিছলে যায় ধীরে ধীরে অন্য একটি স্বরে যা এক হয়েও একে অন্যের থেকে আলাদা – ঝকঝকে পরিষ্কার অথবা মরচে ধরা, রাগত অথবা ভীত কিম্বা তিক্ত যাই হোক না কেন, তুমি ইতোমধ্যে অন্য স্বব়গুলি শুনতে লেগেছ, কারণ ওই একই পথ ধরে এবার নতুন জাহাজ চলছে, দাসভর্তি নৌকা আর নয়, বরং ঝাঁঝরা ছোট খোল সর্বস্ব ডিঙি, যার থেকে অন্য স্বর বেরোয়। কার? “পাচারকারীদের কিছু এসে যায় না তারা কাদের নিয়ে আসে, তারা শুধু সংখ্যা গোনে। যতক্ষণ তারা নিজেদের নৌকো ভর্তি করতে পারছে তারা খুশি। একটি পুরুষ অথবা একটি নারী – তারা শুধুই দেহ মাত্র,” কাজ করার শরীর। “এর অল্প আগে আমি জঙ্গলের প্রান্তে একটি নড়বড়ে শিবির খেয়াল করলাম, রাস্তা থেকে প্রায় ফুট কুড়ি ভিতরে, একটা পরিত্যক্ত কংক্রিটের কাঠামো ঘিরে তৈরি যা একসময় হয়ত কোনো মুদিখানা বা কফি শপ ছিল। কিছু তেরপলের টুকরো গাছের গুঁড়িগুলি থেকে পরিত্যক্ত বাড়ি পর্যন্ত টাঙানো। একটা আগুন জ্বলছিল, বাচ্চারা তাকে ঘিরে বসে অলসভাবে আগুনে কাঠি ছুঁড়ে ফেলছিল। তুমি এক মুহূর্তেই বলে দিতে পারতে যে সেটি একটি শরণার্থি শিবির… রোহিঙ্গা… বাংলাদেশি… তাদের সকলকে একই রকম দেখতে।”
প্রশ্ন করা বৃথা কোথায় এবং কখন, কারণ তুমি জানো উত্তরটা হলো, এইখানে, এখন। তুমি অন্যমনস্ক হয়ে পড়োনি, কিম্বা পথেও হারাওনি, কিম্বা কালের গর্ভেও হারিয়ে যাওনি।
ঘটনা হল যে বইয়েরা “একে অপরকে এগিয়ে নিয়ে চলে, যদিও অভ্যাসবশতঃ আমরা প্রত্যেকটিকেই বিচ্ছিন্ন ভাবে বিচার করি।”
এমন ঘটে যে “বাগানের পুরো ঢেউ আর ফিসফিসানি হয়ে উঠেছিল বাঁকের মতো আর বিভিন্ন নক্সা সমৃদ্ধ হয়ে উঠছিল সম্পূর্ণ শূণ্যতার একটি কেন্দ্রকে ঘিরে।”
“[শ্রীমান ব়্যামসে, পথে হোঁচট খেতে খেতে, এক অন্ধকার সকালে, নিজের হাত প্রসারিত করলেন, কিন্তু শ্রীমতী ব়্যামসে তার আগের রাত্রে আচমকা মারা যাওয়ায়, তাঁর হাত, যদিও প্রসারিত, ফাঁকাই থাকল]”
বইয়ের দাগগুলি, ভাঁজগুলি, উলফের বর্গাকৃতি বন্ধনীগুলি। আসল দাগগুলি, বিচ্ছিন্ন হাড়গুলি যার মধ্যে আমি বিচরণ করি ভাষা জুগিয়ে চলি সংক্ষিপ্ত এক শতাব্দীর গল্পগুলিকে যা প্রসারিত হয়ে যায় পরবর্তীটিতে: “আমার উচ্চাকাঙ্খা, আমার বাবার বিষয়ে, ছিল খুবই সাধারণ। ওডিসি র বিখ্যাত পুত্রের মতো – সব পুত্রদের মতোই, আমার সন্দেহ – আমার আশা ছিল যে ‘আমার বাবা অন্ততঃ একজন সুখী মানুষ যিনি তাঁর নিজের বাড়িতে পরিণত বয়সে পৌঁছবেন’। কিন্তু, টেলিম্যাকাসের বিপরীতে, আমি ক্রমাগত, ২৫ বছর পরেও, সহ্য করে চলেছি আমার বাবার ‘অজানা মৃত্যু এবং নীরবতা’। আমি ঈর্ষা করি অন্ত্যেষ্টির চুড়ান্ততাকে। আমি নিশ্চয়তাকে আঁকড়ে ধরতে চাই। কেমন লাগে অস্থি হাতের মধ্যে জড়িয়ে রাখতে, নির্ধারণ করা কি ভাবে সেগুলিকে রাখা হবে, সেই এক খণ্ড মাটিকে হাত দিয়ে চাপড়াতে পারা আর প্রার্থনাগীত গাইতে সক্ষম হওয়া।”
আসল ক্ষত, অবিন্যস্ত অস্থি, কালশিটে।
“তুমি প্রায়শই তাদের দেখতে পেতে, রোগা, লাল-চোখের বাংলাদেশিদের যাদের হাতের আর মুখের ত্বকের অংশ ঘষা লেগে ছাল উঠে গেছে কীটনাশকের অত্যধিক ব্যবহারে। সর্বদাই তারা হাঁটাচলায় ব্যস্ত। সর্বদাই এমন ভাব যেন তারা কিছু খুঁজে চলেছে, অথচ সবসময়েই স্লথগতিতে তাদের হাঁটাচলা, যেন তাদের চারপাশের বাতাস জলে পরিবর্তিত হয়ে গেছে আর তাদের জল-ঠেলে পৃথিবীর বুকে এগোতে হচ্ছে। সাঁতরে-হাঁটা। তাদের পৃথিবী থেকে যেন অক্সিজেন শুষে নেওয়া হয়েছে।”
অক্সিজেন… এক অমূল্য বস্তু, প্রাণদায়ী, আমাদের দৈনন্দিন কথাবার্তায় ঢুকে পড়েছে গাছপালার প্রতি প্রেমের জন্য নয় কারণ অতিমারী হত্যা করে। আমাদের দীর্ঘ কালীন, অমনোযোগের দোষ। অক্সিজেন…
“যদি তাদের কোনো ঘা বা আঘাত থাকে তা চাপা দিয়ে দাও। কোনো কিছু কুৎসিত দেখানো যাবেনা, কোনো কাঁচা মাংস না, কোনো সুস্পষ্ট ভাঙা হাড়, ওই ধরণের কোনো কিছুই–কোনো নিয়োগকর্তাই দেখতে চায়না লোকেদের রোগে ধুঁকতে বা অনেক আঘাত বয়ে বেড়াতে। মহিলাদের তো আরোই নয় – তাদের সদাসর্বদাই স্নাত আর পরিষ্কার-পরিচ্ছন্ন থাকতে হবে। ভাগ্য ভালো যে তত বেশি সংখ্যায় মহিলা ছিলনা বাগানগুলিতে। ভগবানই জানেন যে মহিলাদের কিসের মধ্যে দিয়ে যেতে হয়েছে এই দেশে পৌঁছনোর আগে।”
মহিলারা…
“তোমার বইয়ে এমন একটি অংশ আছে, যেখানে তুমি এমনই কিছু সহ্য করার কথা বলেছ, এবং আমি তা অনুবাদ করেছি খুব যত্ন সহকারে আর সন্তর্পণে, যেন ভঙ্গুর কিছু একটা যা আমি ভুলবশতঃ ভেঙে বা মেরে দিতে পারি, কারণ এই অভিজ্ঞতাগুলি পুরোপুরি বাস্তব জগতের নয় আর তাদের সাক্ষী হচ্ছে শুধুমাত্র একজনের কথা অন্য আরেকজনের বিরুদ্ধে। এটা খুব জরুরী ছিল আমি যেন কোনো শব্দের ভুল অর্থ না বুঝি’, তিনি বলেছিলেন, এবং পরবর্তী সময়ে আমার মনে হয়েছিল যে তুমি যেমন এই অর্ধ-বাস্তবকে নিয়ে লেখার মাধ্যমে তাকে বৈধ করে তুলেছিলে, আমি তেমনি পুনর্বার বিধি-সম্মত করেছি তাকে অন্য ভাষায় তর্জমা করতে সক্ষম হয়ে আর সুনিশ্চিত করেছি তার অস্তিত্ব”।
“একজন লেখক সৃষ্টি করেছিলেন এক ইন্দ্রজালের, পাঠককে বইয়ের জগতের মায়াবী বৃত্তে ডেকে এনে। সূক্ষ্ম শব্দের মাধ্যমে, একজন লেখক তার পাঠককে মোহিত করে অনুভূতি দেন ত্বকে খোঁচা লাগার, তার মুখ খুলে দেওয়ার, অথবা তার রক্তের গতি বৃদ্ধি করার”। যিনি অনুবাদ করেন তিনি ত্বকে খোঁচা সবচেয়ে বেশি অনুভব করেন, দমবন্ধ হয়ে আসা পর্যন্ত ঠোঁট চেপে রাখেন, শিরায় রক্ত চলাচলের তীব্রতা অনুভব করেন শব্দের তীব্র বেগের সঙ্গে, “এ রকম উত্তেজক পরিস্থিতিতে শব্দ প্রাণ কেড়ে নিতে পারে”, এবং সেই সঙ্গে পাঠককে আহ্বান জানান অন্য ভাষায় সেই একই জাদু বৃত্তে, যা তিনি পুনর্নিমাণ করেন নিঃশব্দে নিজের লেখায়।
আমি কৃতজ্ঞ ভার্জিনিয়া উলফ, অমিতাভ ঘোষ, আন্তোনিয়া এস. বায়াট এবং অনিতা দেশাই, হিশাম মাটার, তাশ আও এবং রেচেল কাস্ক এর কাছে।
এবং আপনাদেরকে অনেক ধন্যবাদ জ্ঞাপন করি, পুরস্কারের জন্য, এবং আমার লেখা পড়া ও শোনার জন্য।
– – –
The myth of Babel tells of the loss of the earth’s one language and one speech, and the confusion of languages. Suddenly every object and every idea assumed a plurality of names, and the oversized tower, symbol of human imagination and hubris, was abandoned within the shadow foreboding its destruction. With an unprecedented series of correlated texts, Specimen explores these magnificent ruins, hearing echoes of the multiplicity of languages and the birth of translation. This collection includes texts about Babel, translation or language, and special translations. In September 2021, 20 years after 9/11, the Babel festival will focus on the multiplication of languages and the present diaspora from the regions of ancient Babylon – the scattering of the children of men over the face of all the earth. >> www.babelfestival.com
Published August 6, 2021
© Anna Nadotti 2020
© Specimen 2021
Dankesrede anlässlich der Verleihung des Übersetzerpreises «Premio Cesare Pavese per la traduzione»
Written in Italian by Anna Nadotti
| A specimen of Babel: Stories on the loss of the earth’s one speech and the confusion of languages
Translated into German by Barbara Sauser
Über seine Herkunftsorte schrieb Cesare Pavese: «Eine Erde, die wartet und schweigt».
Die Langhe sind eine wunderschöne, nüchterne Landschaft, ich kenne sie gut und liebe ihre Farben und Melancholie. Ich selber komme aus einem Gebiet, das sich träge der Adria entgegenzieht und singt. Lesen und schreiben habe ich in Parma gelernt. Und heute möchte ich, um mich für diesen Preis und die Begründungen zu bedanken, die mich tief bewegt haben, Sie einfach die Stimmen hören lassen – nicht alle, aber wenigstens einen Teil davon –, denen ich in zweiunddreißig Jahren meine eigene geliehen habe, damit sie sprechen und sich in unserer Sprache ausdrücken können, was oft dazu geführt hat, dass ich tagelang zum Schweigen gebracht wurde, verwirrt, sogar sprachlos war. Das passiert, wenn man nach Vorstellungsende auf Zehenspitzen die Bühne betritt, um das Stück nachzuspielen, und sie ebenso leise wieder verlässt.
«Mrs Dalloway sagte, sie wolle die Blumen selber kaufen.» Davon gab es im Laden von Miss Pym jede Menge – «all die spanischen Wicken, weit gestreut in ihren Schalen, violett, schneeweiß, bleich getönt (…) Rittersporn, Nelken, Callas (…); und es wäre der Augenblick zwischen sechs und sieben, wenn jede Blume – Rosen, Nelken, Schwertlilien, Flieder – aufglüht; weiß, violett, rot, tieforange; jede Blume scheint von allein zu brennen, sacht, rein, in den dunstigen Beeten.»
Wie würde Clarissa Dalloways Morgen sein?, fragte ich mich. «Frisch, wie geschaffen für Kinder am Strand.» Dieser Morgen ist eigentlich nur der Anfang eines Tages von Clarissa, Peter Walsh und Septimus Warren Smith, dessen Frau Lucrezia und Elizabeth Dalloway, der Tochter, beschrieben als «nicht wirklich hübsch, eher nett» und von der Kritik bisher übersehen, vielleicht weil sie der mutmaßlichen Kälte ihrer Mutter eine einfallsreiche und sehr physische Energie entgegenstellt, die sich auch in Woolfs Sprache äußert: «Es war so schön, draußen zu sein. Sie dachte, vielleicht müsse sie noch nicht gleich nach Hause gehen. (…) Plötzlich trat Elizabeth ein paar Schritte vor und bestieg, vor allen anderen, durchaus geschickt den Omnibus. Sie nahm einen Platz auf dem Oberdeck. (…) Und jetzt war es wie Reiten, Whitehall entlangzustürmen; und jeder Omnibusbewegung antwortete der schöne Körper in dem rehfarbenen Mantel frei wie ein Reiter, wie die Galionsfigur eines Schiffes, denn die Brise zerzauste sie leicht; die Hitze gab ihren Wangen die Blässe weißgestrichenen Holzes; und ihre schönen Augen, denen keine anderen Augen begegneten, starrten vor sich hin, leer, hell, mit der staunenden, unglaublichen Unschuld einer Skulptur.»
Ich las Woolfs lange Satzgefüge, und jedes Wort in diesem so bekannten und geliebten Roman war dadurch, dass ich es neu übersetzen sollte, auf seine Weise wie ein Anfang. Ähnlich erging es mir kurz darauf auch bei der Übersetzung von To the Lighthouse. Tage- und nächtelang war ich unterwegs zu diesem Leuchtturm.
«Doch was ist denn am Ende schon eine einzige Nacht? Ein kurzer Zeitraum, insbesondere wenn die Dunkelheit so rasch verdämmert und so bald schon ein Vogel singt, ein Hahn kräht oder ein schwaches Grün, wie ein wirbelndes Blatt, in einem Wellental lebendig wird. Nacht folgt jedoch auf Nacht. Der Winter hält einen ganzen Stoß davon auf Vorrat und teilt sie gleichmäßig aus, gleichmütig, mit nimmermüden Fingern. Sie dehnen sich; sie verfinstern sich. Manche von ihnen halten helle Planeten, Platten, angefüllt mit Helligkeit, empor. Die herbstlichen Bäume, zerzaust wie sie sind, nehmen die Leuchtkraft fleckiger Fahnen an, die in der Düsternis kühler Kathedralenhöhlen entbrennen, wo goldene Lettern auf marmornen Seiten den Tod in der Schlacht beschreiben und wie die Gebeine, weit weg in indischem Sand, dort bleichen und verdorren.»
Weit weg waren sie nicht, der indische Sand und die indischen Städte, im Gegenteil habe ich mich ihnen selten so nahe gefühlt wie in den zwei Jahren, in denen ich Woolf übersetzte. Ganz Indien dehnte sich hinter Peter Walshs Rücken aus, und «ein Sperling auf dem Geländer gegenüber zwitscherte Septimus, Septimus, vier- oder fünfmal hintereinander, und fuhr, seine Töne in die Länge ziehend, fort, hell und durchdringend auf Griechisch zu singen, dass es kein Verbrechen gebe, und, von einem anderen Sperling begleitet, sangen sie mit anhaltenden und durchdringenden Stimmen auf Griechisch, aus Bäumen auf der Flur des Lebens jenseits eines Flusses, wo die Toten wandeln, dass es keinen Tod gebe».
Während die Vögel in den Londoner Parks der frühen Nachkriegszeit auf Griechisch sangen, fingen die Kuckucke in Neu-Delhi am Vorabend der Teilung «vor Tagesanbruch an zu rufen. Ihre Stimmen schallten aus den dunklen Bäumen wie Glockengeläut, sie riefen und wiederholten die Rufe der andern, sie verspotteten und verlockten einander zu immer höheren und schrilleren Rufen. Mit der aufgehenden Sonne wurde der Chor immer größer, und als Tara das klagende Verlangen in ihren Stimmen nicht mehr ertragen konnte, stand sie auf und ging hinaus auf die Veranda, wo sie zwischen den runden Säulen und den purpurnen Bougainvilleen der grelle weiße Glanz der Sommersonne empfing. (…) Eine schweigende Reihe von Ameisen zog an ihren Füßen vorbei und die Stufen hinunter in den Garten.»
In welchen Garten?, frage ich mich. Und sehe vor meinem geistigen Auge A. S. Byatts Mittelgarten: «Midhgardh betraten sie, geschaffen für den Menschen, der noch nicht geschaffen war und der noch schlummerte im Schoß der Zeit.»
Ich sehe Amitav Ghoshs «gemalte Gärten» und «getrocknete Gärten», deren Zweck darin bestand, perfekte Kopien morgenländischer Bäume und Blumen und Samen nach England zu bringen, da es nicht möglich ist, einen echten chinesischen Garten, «eine kunstvoll angelegte Landschaft aus Bächen und Brücken, Seen und Hügeln, Felsen und Wäldern, mit gewundenen Pfaden und wellenförmigen Mauern», mitzunehmen.
Ich sehe einen «schwimmenden Garten», einen geraubten und nach Europa verschifften Garten, die Decks eines Schiffs, schwankend wie Maultiere.
Beim Übersetzen ahnt man die Plantagen hinter jedem englischen Garten, und jedes gewählte Adjektiv bestimmt den Ort und die Zeit, eine Natur, die da war und nicht mehr da ist, aber nicht durch Zauberei verschwand: «Vor der Rodung war die Landschaft von unvorstellbarer Schönheit, doch es war purer Urwald – dichter, gewaltiger, unüberschaubarer, undurchdringlicher Dschungel. (…) Man hatte das Gefühl, durch das mit Teppich ausgelegte Mittelschiff einer Kirche zu gehen. Die Wipfel der Bäume stießen weit über ihnen zusammen und formten eine endlose, gewölbte Decke. (…) Monate später sah der Hügel aus, als sei er von Seuchen und Katastrophen heimgesucht worden. Riesige Streifen Land waren übersät von Asche und verkohlten Baumstümpfen. (…) Die Arbeiter lebten in winzigen Hütten mit Dächern aus Zweigen und Blättern. Bei den Arbeitern handelte es sich ausschließlich um Inder aus Madras, Tamilen. (…) Es herrschte unvorstellbares Elend, der Boden war mit Unrat bedeckt.»
Während ich übersetze, weicht das unbändige Wuchern des malaiischen Dschungels der geordneten Geometrie einer Plantage, und über das vom Ganges und Brahmaputra durchschnittene indische Tiefland legen sich weiße Schlafmohnblüten. Makellose Baumstämme, geschickt gesteuert von oo-si und pe-si und Elefanten, treiben die Flüsse hinunter; über der Opiumfabrik flattert die britische Flagge, und die niedrigen überdachten Boote haben Wimpel der Ostindien-Kompanie gehisst. Dies alles geschieht in einer Vervielfachung von Sprachen, Geschichten, Stimmen, Verwünschungen und fröhlichen Rufen. Was tun, um das zu vermitteln? Die Ohren spitzen, lauschen. «In Kanais beruflicher Laufbahn war es einige Male vorgekommen, dass er während des Dolmetschens einen Moment lang das Gefühl gehabt hatte, in einen anderen Körper versetzt zu werden. Jedes Mal war es gewesen, als hätte sich das Instrument der Sprache verwandelt, als sei es plötzlich keine Barriere mehr, kein trennender Vorhang, sondern ein durchsichtiger Film, ein Prisma, das es ihm erlaubte, durch ein anderes Augenpaar zu schauen, die Welt mit einem anderen Geist als seinem eigenen aufzunehmen.»
Das passiert. Jede Stimme rutscht nach und nach in eine andere Stimme, die gleich ist und doch nicht gleich, ob sie nun hell oder rau oder wütend oder erschrocken oder liebevoll ist, und unterdessen vernimmst du schon die nächsten Stimmen, da sich nun neue Gefährte auf den gleichen Routen bewegen, nicht mehr Sklavenschiffe, sondern marode Boote, aus denen andere Stimmen kommen. Wem gehören sie? «Den Schleppern ist es egal, wen sie ins Land bringen, Hauptsache, es sind viele. Solange sie die Boote vollkriegen, sind sie zufrieden. Ob Mann oder Frau … es sind nur Körper», Körper, die arbeiten sollen. «Kurz zuvor hatte ich gesehen, dass am Rand des Dschungels, etwa sechs Meter von der Straße entfernt, um einen kleinen, verlassenen Betonklotz herum, der einmal ein Laden oder eine Bar gewesen sein muss, ein prekäres Camp entstand. Ein paar von Bäumen zur Ruine gezogene Planen. Ein Feuer brannte, und darum herum saßen kleine Kinder, die träg Stöcke in die Flammen warfen. Es war offensichtlich ein Migrantencamp … Rohingya … Bangladescher … sie sehen alle gleich aus.»
Man braucht sich nicht zu fragen, wo und wann, weil die Antwort ohnehin hier, jetzt lautet. Du hast dich nicht ablenken lassen, bist weder unterwegs noch in der Zeit verloren gegangen. Die Sache ist die, dass «Bücher einander fortsetzen, trotz unserer Gewohnheit, sie einzeln zu beurteilen».
Und «auf einmal wurde aus dem ganzen Gewoge und Gewisper des Gartens so etwas wie Bögen und Arabesken, die sich üppig um ein Zentrum völliger Leere entfalteten.»
«[Mr Ramsay streckte, als er eines dunklen Morgens einen Flur entlangstolperte, die Arme aus, doch da Mrs Ramsay in der Nacht zuvor ziemlich plötzlich gestorben war, streckte er die Arme nur aus. Sie blieben leer.]»
Mahnende Narben im Text, Woolfs eckige Klammern. Inmitten von echten Narben, nie begleiteten Gebeinen bewege ich mich, als ich meine Stimme den Geschichten eines kurzen Jahrhunderts leihe, das sich in das nachfolgende ausdehnt: «Meine Ambitionen in Bezug auf meinen Vater waren einfach: Wie der berühmte Sohn in der Odyssee, wie die meisten Söhne, nehme ich an, ‹wär ich doch lieber der Sohn von einem glücklichen Manne, den bei seiner Habe das ruhige Alter beschliche›, aber im Gegensatz zu Telemach leide ich auch nach fünfundzwanzig Jahren noch unter der Ungewissheit über das Schicksal meines Vaters. Ich sehne mich nach der Endgültigkeit von Beerdigungen, ihrer Sicherheit. Wie es sein muss, die Hände um die Knochen zu schließen, auszuwählen, wohin ich sie lege, die Erde über ihnen zu berühren und ein Gebet zu singen.»
Echte Narben, unbegleitete Knochen, Hämatome.
«Man sah oft magere Bangladescher, die von all den versprühten Pestiziden gerötete Augen und schuppige Flecken an den Armen und im Gesicht hatten. Sie waren immer in Bewegung. Schienen immer etwas zu suchen, waren dabei aber immer langsam in ihren Bewegungen, als wäre die Luft um sie zu Wasser geworden, als würden sie durch die Welt waten. Schwimmlaufen. Der Sauerstoff war aus ihrer Welt abgesaugt.»
Sauerstoff … ein kostbares, lebenswichtiges Element, von dem wir nicht aus Liebe zu den Bäumen tagtäglich reden, sondern weil die Pandemie tötet. Unsere lang währende, schuldhafte Zerstreutheit. Sauerstoff …
»Sie zusammenflicken, wenn sie irgendwelche Wunden oder Hämatome hatten. Man durfte nichts Hässliches sehen, kein rohes Fleisch, keine offensichtlichen Brüche und solche Dinge – kein Arbeitgeber sieht gern von Krankheiten gezeichnete oder mit zu zahlreichen Verletzungen übersäte Menschen. Schon gar nicht Frauen – die müssen schön sauber aussehen. Zum Glück gab es in den Plantagen nicht allzu viele Frauen. Gott allein weiß, was sie durchgemacht hatten, bevor sie hier ankamen.»
Die Frauen …
«‹In einem Ihrer Romane gibt es eine Passage›, sagte sie zu mir, ‹in der Sie eine ähnliche Erfahrung beschreiben. Ich habe sie so sorgsam und umsichtig übersetzt, als wäre sie etwas sehr Fragiles, das ich versehentlich verletzen oder töten könnte. Erfahrungen wie diese sind gewissermaßen unwirklich, und sie lassen sich auch nicht beweisen, weil immer Aussage gegen Aussage steht. Es war mir wichtig, jedes einzelne Wort richtig zu übersetzen›, sagte sie, ‹und danach kam es mir vor, als wäre das Unwirkliche nun doppelt beglaubigt, einmal durch Sie, weil Sie es aufgeschrieben haben, und ein zweites Mal durch mich. Ich habe es in eine andere Sprache übertragen und damit sein Überleben gesichert.›»
«Ein Schriftsteller sprach eine Zauberformel, rief den Leser in den Zauberbann der Welt des Buchs. Mit raffinierten Worten verlockte der Schriftsteller den Leser oder die Leserin dazu, die Haut prickeln, die Lippen sich öffnen, das Blut pochen zu spüren.» Wer übersetzt, fühlt die Haut stärker denn je prickeln, öffnet unablässig die Lippen bis zur Apnoe, spürt das Blut mit der heimtückischen Geschwindigkeit von Wörtern in den Adern pochen – «unter solch brandgefährlichen Umständen können Wörter Leben kosten» – und zieht die Leserinnen und Leser in den gleichen, aber mit den Mitteln einer anderen Sprache erzeugten Zauberbann, in dem er oder sie still anwesend ist.
Ich danke Virginia Woolf, Amitav Ghosh, Antonia S. Byatt, Anita Desai, Hisham Matar, Tash Aw und Rachel Cusk.
Und ich danke Ihnen sehr für den Preis, danke fürs Lesen und Zuhören.
– – –
The myth of Babel tells of the loss of the earth’s one language and one speech, and the confusion of languages. Suddenly every object and every idea assumed a plurality of names, and the oversized tower, symbol of human imagination and hubris, was abandoned within the shadow foreboding its destruction. With an unprecedented series of correlated texts, Specimen explores these magnificent ruins, hearing echoes of the multiplicity of languages and the birth of translation. This collection includes texts about Babel, translation or language, and special translations. In September 2021, 20 years after 9/11, the Babel festival will focus on the multiplication of languages and the present diaspora from the regions of ancient Babylon – the scattering of the children of men over the face of all the earth. >> www.babelfestival.com
Published August 6, 2021
© Anna Nadotti 2020
© Specimen 2021
Other
Languages
Your
Tools
Quotations in the German translation are taken from
Cesare Pavese, Sämtliche Gedichte, aus dem Italienischen von Lea Ritter-Santini und Christoph Meckel, Claassen, Hamburg 1988
Virginia Woolf, Mrs Dalloway, aus dem Englischen von Walter Boehlich, S. Fischer, Frankfurt am Main 1997
Virginia Woolf, Zum Leuchtturm, aus dem Englischen von Karin Kersten, S. Fischer, Frankfurt am Main 1991
Virginia Woolf, Ein Zimmer für sich allein, aus dem Englischen von Renate Gerhardt, S. Fischer Taschenbuch, Frankfurt am Main 1981
Anita Desai, Im hellen Licht des Tages, aus dem Englischen von Ellen Krahe, List Verlag, München/Leipzig 1992
S. Byatt, Besessen, aus dem Englischen von Melanie Walz, Insel Verlag, Frankfurt am Main 1993
Amitav Ghosh, Der rauchblaue Fluss, aus dem Englischen von Barbara Heller und Rudolf Hermstein, Karl Blessing Verlag, München 2011
Amitav Ghosh, Der Glaspalast, aus dem Englischen von Margarete Längsfeld, Sabine Längsfeld, Karl Blessing Verlag, München 2000
Amitav Ghosh, Hunger der Gezeiten, aus dem Englischen von Barbara Heller, Karl Blessing Verlag, München 2004
Hisham Matar, Die Rückkehr, aus dem Englischen von Werner Löcher-Lawrence, Luchterhand, München 2016
Rachel Cusk, Kudos, aus dem Englischen von Eva Bonné, Suhrkamp, Berlin 2018
A. S. Byatt, Das Buch der Kinder, aus dem Englischen von Melanie Walz, S. Fischer, Frankfurt am Main 2009