Tom e Guto abbandonano gli stivali bagnati nella stanzetta al piano inferiore. Parlano forte, come se ancora stessero in mezzo al vento. Rumore di porta di frigorifero, sedia trascinata, mamma, sono arrivato, scendi a mangiare con noi. Mangiare, mangiare, sempre questa preoccupazione nella memoria di Tom. Non devo essere così magra, ma è vero che non sono in grado di dire quanto poco sto mangiando, visto che mi sento sempre sazia.

Ho bevuto un succo di frutta. La mia gola è sempre secca a causa del riscaldamento, del freddo e delle sigarette, non c’è nulla da fare. Tom è così bello, non va mai direttamente dallo sci alla casa degli amici senza passare prima a trovarmi. Non parla, non gli piace l’intimità, sa cosa vuol sapere solo guardandomi. Uno sguardo che resta sospeso, dimenticato, quasi come guardando verso l’interno o, come si dice, facendo lo sguardo da pesce lesso. Io restavo spesso così quando avevamo l’acquario là in casa. Era quando Tom è nato, quando ho capito che lui era uscito fuori da me ed era non solo un’altra persona, ma era un bambino, un uomo. Capiamo le cose del mondo piano piano seguendo la stratificazione del pensiero, finché poi le capiamo in modo così definitivo che ci sembra di saperle da sempre.

Dopo avergli dato il seno, Tomás dormiva tra le mie braccia e io guardavo i pesci. Me ne stavo lì ferma per molto tempo, senza pensare a nulla, solo guardando quei pesci rossi mentre giravano, nuotavano da una parte all’altra, da una parte all’altra. Alcuni iniziarono a morire e pensai che potesse trattarsi di eccesso di mangime. Iniziai quindi a dar loro meno mangime e diminuì l’intervallo tra una morte e l’altra. I pesci sono sempre uguali e aggiungevamo dei nuovi pesci per sostituire quelli morti, era difficile percepire se ci fosse un’alternanza nelle morti o se uno dei pesci antichi sopravviveva. Non ci pensavo, ma in uno di quei pomeriggi languidi vidi che un pesce era, o stava diventando, più grande degli altri. Era l’unico pesce grande, quindi l’unico riconoscibile. La pancia sembrava gonfia, e visto che la sua quota di rosso era pari a quella dei pesci più piccoli, nel dover coprire una superficie dilatata, era diventato di un arancio brillante. Forse era una femmina con la pancia piena di uova.

Osservando con attenzione, vidi che il mio pesce incinto era più agitato e il suo vagare, diversamente dal vagare aleatorio dei piccoli pesciolini rossi, sembrava intenzionale. E il mio sguardo non riusciva più a perdersi in quell’esistenza rossa e tranquilla, era catturato in quell’intenzione.

Quando nacque Tomás passai un periodo senza percepire che il mondo esisteva. Entrai in un grande utero rosso assieme e mischiata con lui. La parte uterina poco a poco divenne scarsa, lasciando apparire il mondo e, con lui, Jorge. Un Jorge molto più dedito al lavoro rispetto a prima: le esitazioni e i tentennamenti scomparvero. Credo che anche in lui la nascita del figlio ravvivò questioni ancestrali, la protezione e il sostegno dei suoi, la conquista e la delimitazione di nuovi spazi nel mondo degli uomini, nel mondo fuori casa. Quando parlava di lavoro, sembrava più grande e più risoluto. Mi ricordo di una domenica, al ritorno da una passeggiata mattutina durante la quale allungai di poco il percorso, quando Tomás iniziò a gridare dalla fame. Io, un po’ afflitta un po’ divertita nell’osservare la rabbia di un bebè così piccolo, fui sorpresa dallo sguardo orgoglioso e incoraggiante di Jorge verso Tomás. Una cosa tra uomini.

Sempre più traslucido, il pesce più grande continuava a crescere. Così pure Tom, che mangiava già capelli d’angelo con salsa al pomodoro fresco. Tra una cucchiaiata e l’altra, seguiva attento il movimento nell’acquario. Tra una cucchiaiata e l’altra, aprendo e chiudendo la bocca come un pesce così che Tom facesse lo stesso, vidi l’agitazione pesante di quella pancia sempre più brillante e, improvvisamente, il pesce arancione iniziò a spingere con forza un piccolo pesce rosso contro la parete dell’acquario. Il pesce rosso si aprì e le viscere biancastre sporcarono l’acqua. I piccoli pesci rossi che cercavano di afferrarle con la bocca erano allontanati dal pesce arancione, che si mangiò da solo il frutto del suo attacco. Spaventata, restai con il cucchiaio a mezz’aria e la bocca aperta. Tomás diede un urlo, voleva il suo cibo. Il piccolo furioso picchiava sul tavolo del seggiolino e il rumore del piatto in frantumi per terra mi risvegliò.