From Poesia come ossigeno
Written in Italian by Antonella Anedda and Elisa Biagini
| A specimen of Babel: Stories on the loss of the earth’s one speech and the confusion of languages
A.A. Sono d’accordo: tempi brevi e urlati con punti esclamativi, oppure un linguaggio che non si pone il problema di come parlare davvero della quotidianità. Per questo il lavoro sulla propria lingua non finisce mai. Come diceva Riccardo, c’è un’urgenza di farsi carico del senso della lingua e del pensiero del vivere. E un punto cruciale. Non credo che la poesia, la scrittura rendano automaticamente migliori. La poesia non coincide con il poetico e dovrebbe prescindere dal moralismo. Allo stesso tempo, continuo a non fare pace con l’idea di un’arte che implichi crudeltà. Forse l’unica strada possibile è assumersi la responsabilità verso noi stessi e fare i conti con le nostre mancanze, fragilità.
Tornando a quanto diceva Elisa, è vero, prevalgono gli slogan viscerali, ne sentiamo di continuo, come è sempre successo nella propaganda. I mondi non passano e la parola è un ramo che sorregge ma anche un ramo fragile, può scaldare ma anche essere brandito e poi abbandonato a forze che non si controllano. A chi legge dovrebbe arrivare la percezione, coraggiosa, complessa, del testo che ha di fronte, un’intensificazione del reale che passa anche attraverso il suo scardinamento, il moltiplicarsi e capovolgersi delle prospettive. È un crinale sottile: da un lato c’è il rischio dell’appiattimento e della semplificazione, e dall’altro c’è il pericolo di un’oscurità che di fatto non rispetta chi legge. Qual è allora il lavoro da fare? Una possibilità è venire a contatto con altri linguaggi oltre a quello della lingua madre.
R.D. Non a caso entrambe avete scelto di misurarvi con altre lingue oltre all’italiano. Diciamo che questo potrebbe essere un modo per costringere la lingua madre a interrogarsi, a ripensarsi, insomma a entrare in attrito con le convenzioni e i meccanismi più usurati?
E.B. Sì, nel mio caso c’è stata un’esperienza privata, di studio negli Stati Uniti dove ho anche insegnato e vissuto per cinque anni: là ho scoperto un universo perché, se la cultura americana è sempre stata storicamente molto presente in Italia dal secondo dopoguerra in poi, alla fine si conoscevano solo certi autori… Quindi vivere, essere immersi sempre in una dimensione culturale altra – sono arrivata addirittura a sognare in inglese – fa sì che ci si confronti con voci molto diverse. È stato importante perché dopo una fase di grandi letture è nato il desiderio di scrivere in questa altra lingua della quotidianità, dei contatti, dei dialoghi, del vivere le emozioni che inevitabilmente ti porta a volerti esprimere creativamente. E, a prescindere poi dalla qualità di queste poesie in inglese, l’esperienza è stata molto interessante perché mi ha permesso di rientrare nella mia lingua madre, di stimolarla, di rivitalizzarla, di problematizzare certe scelte che avevo fatto, anche linguistiche. Di sperimentare. Solamente sperimentando in inglese ho ragionato su cose che non avrei affrontato in lingua italiana, anche trattando altri temi, perché la tradizione lirica italiana ha delle modalità di racconto diverse da quelle di lingua inglese – nordamericana nel mio caso. La poesia femminile, e quella delle cosiddette minoranze, affronta ormai da decenni, in maniera anche estremamente diretta, temi molto complessi. Per questo io devo ringraziare la lezione, gli insegnamenti, la pratica, il dialogo con la mia maestra, Alicia Ostriker, poetessa femminista ebrea americana, che ha fatto un lavoro interessantissimo – sia come studiosa sia come scrittrice – sulla poesia statunitense femminile dalle origini a oggi. Le sono molto grata perché mi ha incoraggiata appunto a scrivere in inglese: ho trattato temi che si mi erano già cari, però l’ho fatto con uno sguardo diverso, perché è uno sguardo che attraversa un’altra cultura e ne esce trasformato. Per Antonella mi viene invece da pensare a un’esperienza molto interessante però più vicina, con il dialetto sardo.
A.A. Nel mio caso credo di essere sempre stata esposta a un’altra lingua, sa limba, il sardo. Lo studio in Inghilterra dove ho vissuto brevemente quando ero all’università e poi più a lungo per il dottorato ha coinciso con un momento di approfondimento di tutti i linguaggi parlati e scritti in Sardegna: del logudorese, ma anche del catalano e del gallurese così affine al corso. Il sardo è forse uno dei dialetti più legati al latino. Nella traduzione inglese funziona, trova un corrispettivo della sua estrema sinteticità. Lavorando con Jamie McKendrick, il poeta che ha tradotto anche le poesie in limba nell’antologia inglese delle mie opere [Archipelago, 2014, ndc], il quale conosce molto bene l’italiano ma ha anche radici scozzesi e irlandesi, abbiamo affrontato sia le lingue madri sia i rispettivi dialetti. Un lavoro di sperimentazione che per me si è tradotto spesso in un lavoro di sottrazione. Passando dal sardo all’italiano e attraversando l’inglese, mi rendevo conto di quanto fosse importante togliere quello che non era necessario. Ho capito anche il perché di alcune predilezioni sonore. Il sardo è una lingua piena di consonanti, aspra: ≪scaglia di gelo≫ si dice ≪astula d’astragu≫.
Un esempio in tal senso è dato da una poesia tradotta dal sardo all’inglese con l’italiano come termine medio. Si intitola Contra Scaurum, Contro Scauro. Scauro era proconsole romano ai tempi di Cicerone, viene accusato dai sardi di aver rubato e di aver poi spinto una donna al suicidio dopo averla violentata. I sardi vanno a testimoniare a Roma contro di lui, ma Cicerone riesce a farlo assolvere scrivendo un’orazione Pro Scauro le cui motivazioni sarebbero oggi definite razziste. Per Cicerone i sardi erano testimoni poco attendibili perché coperti di pelli, puzzolenti, venivano da una terra in cui, come precisa, anche ≪il miele era fiele≫. Scrivere a distanza di secoli contro un personaggio come Scauro, convinto di non avere responsabilità, assolto grazie al fatto di potersi permettere un avvocato di grido come Cicerone, ha significato riflettere sul linguaggio. Ecco, attraverso il sardo sono – credo – riuscita a capire la mia estraneità e la mia attrazione nei confronti dell’italiano, la passione-contagio del latino, la memoria di suoni legati a un silenzio, a una solitudine, che tuttavia, come ha precisato un’artista sarda che amo molto, Maria Lai, non hanno nulla di mistico, sono molto concreti.
A proposito del legame tra linguaggio e politica mi viene in mente un poeta del Novecento, Giacomo Noventa, che durante il fascismo sceglie di scrivere in veneziano perché gli è diventato intollerabile usare parole come ≪patria≫ o ≪famiglia≫, utilizzate dal regime in modo retorico. La sua scelta coincide con una riflessione sulla non-innocenza della lingua e sulla necessità di farsi una ≪lingua sua≫, come dice in un verso.
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The myth of Babel tells of the loss of the earth’s one language and one speech, and the confusion of languages. Suddenly every object and every idea assumed a plurality of names, and the oversized tower, symbol of human imagination and hubris, was abandoned within the shadow foreboding its destruction. With an unprecedented series of correlated texts, Specimen explores these magnificent ruins, hearing echoes of the multiplicity of languages and the birth of translation. This collection includes texts about Babel, translation or language, and special translations. In September 2021, 20 years after 9/11, the Babel festival will focus on the multiplication of languages and the present diaspora from the regions of ancient Babylon – the scattering of the children of men over the face of all the earth. >> www.babelfestival.com
Published July 1, 2021
Excerpted from Antonella Anedda, Elisa Biagini, Poesia come ossigeno, a cura di Riccardo Donati, Chiarelettere, 2021
© 2021 Chiarelettere editore srl
From Poetry As Oxygen
Written in Italian by Antonella Anedda and Elisa Biagini
| A specimen of Babel: Stories on the loss of the earth’s one speech and the confusion of languages
Translated into English by Gregory Conti
Antonella Anedda: I agree: fast and furious with exclamation points, or else language that doesn’t face the issue of how to really talk about daily life. That’s why the work on your own language never ends. As Riccardo was saying, there is an urgency to take responsibility for the meaning of language and of how we think about life. This is a crucial point. I do not believe that poetry, writing, automatically make us better. Poetry is not coincident with the poetic and it should remain distinct from moralism. At the same time, I still can’t come to terms with the idea of an art that involves cruelty. Maybe the only way possible is to take responsibility for ourselves and reckon with our shortcomings, our weaknesses.
Getting back to what Elisa was saying, it’s true, visceral slogans are prevalent, we hear them all the time, as has always been the case in propaganda. Worlds can’t get through and the word is a limb that sustains but that is also fragile, that can give warmth but that can also be brandished and then abandoned to forces that cannot be controlled. Readers should receive the perception – bold, complex – of the text they have before them, an intensification of the real that depends, in part, on its being unhinged, on its multiplication and reversal of perspectives. It is a very thin dividing line: on one side, there’s the risk of flattening and simplification, and on the other, there’s the danger of an obscurity that fails to respect the reader. So then how do we work on this? One possibility is to make contact with other languages beyond that of our mother tongue.
Riccardo Donati: It’s no coincidence that both of you have chosen to grapple with other languages besides Italian. This might be one way to force the mother tongue to interrogate itself, rethink itself, to create friction with its worn out mechanisms and conventions.
Elisa Biagini: Yes, but in my case there was a private experience, a period of study in the United States, where I also taught and lived for five years. I discovered a universe there in that, while American culture has historically always had a strong presence in Italy since WWII, when all is said and done only certain writers were known here . . . So living there, being continuously immersed in another cultural dimension – I even got to the point of dreaming in English – makes you come to terms with very different voices. It was important because, after a phase of copious reading, I got the desire to write in this other language about my daily life, my contacts, dialogues, lived emotions, and that inevitably leads to your wanting to express yourself creatively in the new language. And, leaving aside the quality of these poems in English, the experience was very interesting because it allowed me to come back into my mother tongue, to stimulate it, revitalize it, to question certain choices, even linguistic choices, that I had made. To experiment. It was by experimenting in English that I was able to think through things that I wouldn’t have faced in Italian, also by treating different themes because the Italian lyric tradition has different narrative modes than the English, or, in my case, North American, tradition. For decades by now, women’s poetry, and the poetry of the so-called minorities, have been dealing, very directly, with extremely complex themes. That’s why I am thankful for the lesson, the teachings, the practice, the dialogue with my teacher, Alice Ostriker, the Jewish American feminist poet, who has done incredibly interesting work –both as a scholar and as a writer – on American women’s poetry from the origins to today. I am very grateful to her because she encouraged me to write in English. I treated themes that were already dear to me, but I did it with a different gaze, because it’s a gaze that looks through another culture and is transformed by it. For Antonella, on the other hand, what comes to mind is a very interesting but less distant experience with Sardinian dialect.
Antonella Anedda: In my case, I believe I’ve always been exposed to another language, sa limba, Sardinian. My studies in England where I lived briefly when I was at university and then for a longer period for my doctorate, coincided with a time of deeper study of all the languages spoken and written in Sardegna: Logudorese (northern Sardinian) but also Catalan and Gallurese, which is so close to Corsican. Sardinian is perhaps one of the dialects closest to Latin. In translating to English it works well, I find in it a corresponding extreme conciseness. Working with Jamie McKendrick, the poet who has also translated my poems in Limba for the English anthology of my work [Archipelago, 2014, Ed.] who knows Italian very well but also has Scottish and Irish roots, we have explored our standard mother tongues but also our respective dialects. A work of experimentation that for me has often translated into a process of subtraction. Passing from Sardinian to Italian and crossing over to English, I realized how important it was to get rid of everything that wasn’t necessary. I also came to understand some of my predilections for certain sounds. Sardinian is a language full of consonants, rugged: the Italian “scaglia di gelo” (flakes of frost) in Sardinian is “astula d’astragu.”
An example of this is the poem translated from Sardinian to English by way of Italian. It’s called Contra Scaurum, Contro Scauro (Against Scaurus). Scaurus was the Roman Proconsul in Sardegna at the time of Cicero, accused by the Sardinians of theft and then of pushing a woman to suicide after raping her. The Sardinians go to Rome to testify against him, but Cicero manages to get him acquitted by writing an oration, Pro Scauro, whose arguments would be described today as racist. According to Cicero, the Sardinians were unreliable witnesses because they dressed in animal skins, stank, and came from a land in which, as he specifies, even “the honey was bitter.” Writing centuries later against a figure like Scaurus – convinced he was blameless, acquitted thanks to his being able to afford a famous lawyer like Cicero – meant reflecting on language. So, because of my exposure to Sardinian, I have managed – I think – to understand my feeling of estrangement from and attraction for Italian, the passion-contagion of Latin, the memory of sounds tied to a silence, a solitude, which, however, as noted by Maria Lai, a Sardinian artist whom I really love, are very concrete and not at all mystical.
With regard to the relationship between language and politics, I’m reminded of a 20th century poet, Giacomo Noventa, who chose, during fascism, to write in Venetian because it had become intolerable to use words like “patria” o “famiglia” that were used by the regime so rhetorically. His choice coincides with his reflection on the non-innocence of language and on the necessity to make himself a “language of his own” as he says in one verse.
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The myth of Babel tells of the loss of the earth’s one language and one speech, and the confusion of languages. Suddenly every object and every idea assumed a plurality of names, and the oversized tower, symbol of human imagination and hubris, was abandoned within the shadow foreboding its destruction. With an unprecedented series of correlated texts, Specimen explores these magnificent ruins, hearing echoes of the multiplicity of languages and the birth of translation. This collection includes texts about Babel, translation or language, and special translations. In September 2021, 20 years after 9/11, the Babel festival will focus on the multiplication of languages and the present diaspora from the regions of ancient Babylon – the scattering of the children of men over the face of all the earth. >> www.babelfestival.com
Published July 1, 2021
© Specimen 2021
Poesia coment'aria frisca
Written in Italian by Antonella Anedda and Elisa Biagini
| A specimen of Babel: Stories on the loss of the earth’s one speech and the confusion of languages
Translated into Sardinian by Giacomo Mameli
A.A. Da pensàusu uguali, tottu impressi, a bogi arta e cun ispantu, ma puru unu mod’e nai chi non si trumèntada de comenti tiàulu chistionài de su chi capìtada dì po dì. Po custu su trumentu po sa limba chistionàda no ad’accabbài mai. Comenti naràda Riccardo, est urgenti a cumprendi su sensu chi teninti sa limba e s’esistensia. E unu puntu frimmu. Non pensu chi sa poesia o su scriri in prosa ti fàccanta essi amaròlgia su mèlgiusu. Poesia no est sa propriu cosa de Poeticu e pagu c’ìntrada cun cussa chi si làmmada “etica” o, chi ‘olis, “moralismo”. E in su propriu tempus mi trogu cun s’dea de un’arti che òlgiada nai malànimu. Forsis, s’unicu rimediu est a cumprendi s’arrespettu po nos’etottu e a si mesurai cun is nostras debilesas.
Po torrai a su chi naràda Elisa, est aberu, cumàndanta is fueddus sparàusu chen’e pensai, d’intendèus sempri, comenti sempri est capitàu in sa propaganda. Is mundus non pàssanta, e su fueddu est unu cambu chi appodèrada, peròu est unu cambu dèbili, podit puru calgentai ma non podis cumprendi comenti accàbbada. Chini est liggendu podit cumprendi su sensu, cun coraggiu, cun is trogas de sa prosa chi tenis indenanti, un’impastu cun sa realtadi ma puru cun su chi realtadi no esti, su cambiamentu eternu de su mod’e pensai. Seusu in d’unu strumpu: a un’ala podis fai is cosas cun semplicidadi e chen’e forrogài aintru. A s’altra ala tìmisi de fai una cosa trevessa e aicci mancu arrespèttasa sa lei. Tandu, comenti tòccada a fai? Est a ciccài atrus modus de chistionai andendu prus ainnanti de cussa limba chi as imparau cun mamma tua.
R.D. Non po nudda tott’us duas eis decìdiu de si mesurài cun atras limbas in prus de s’italianu. Naraus puru chi custu podid’essi unu modu po cumandài sa limba ‘e mamma a si ponni chistionis, a pensai sempri, a fai unu sartu po giumpài, po ponni in pensamentu tottu su chi tenìasa a menti. Naraus chi tentaus una rivolussioni?
E.B. Sissi, po mei est istettia un’esperiensia privàda, de studiu in America, ineubua appu puru fattu sa maistra e bìviu po cinc’annus. Incùi app’agattàu unu mundu, poitta, chi sa cultura americana es sempri stettia intregada in Italia pusti sa segunda guerra mondiali, a s’accabbu connoscìasa fetti una pariga de autoris. E tandu, bivi, essi mescuràus cun d’una cultura tottu diversa – seu arribbada, pensa tui, a sonnài in ingresu – ti pòrtada a ti ponni a paris cun d’unu mod’e nai e de pensài tottu nou. Est istèttiu importanti poitta, pusti tempus de letturas mannas, m’est nàscia sa gana de scriri in cust’attra limba de dognia dì, de is attòbius, de is chistionadas, de intendi su spantu chi, amarolgia, ti pòrtada a bolli chistionai sempri ìn modu nou. E, ponendu a parti sa calidadi de custas poesias in inglesu, s’esperiensia est istettia interessanti meda poitta m’a fattu torrai a sa limba ‘e mamma, de sta strumbulài, de di onai vida noa, de ponni in trumentu su chi ia sceddàu. De fai provas. Fetti provendu in inglesu appu pensau cosas chi mai apessi pensau in italianu, fincias arregionendu de atrus problemas, poitta su modu de fai poesias in italianu non s’assimbìlgiat po nudda a su modu de das fai in inglesu o, do abarrai a mei, de su modu nordamericanu. Sa poesia de is feminas, e cussa chi enit làmada de is minoranzias, s’interèssada de meda tempus, fincias in modu precisu, de temas medas cumplicaus. Po custu deppu torrai grasias a su chi m’adi imparau, a sa pratica, a is aberbulàdas cun sa maistra mia Alicia Ostriker, poetessa femminista giudèa americana, chi a fattu unu trabalgiu interessanti meda – comenti e studiosa e comenti scrittrici – in pissu de sa poesia de is feminas de cand’est nascia fincias a oi. Di torru grasias poitta m’adi intregau a scriri in inglesu: appu trattau argumentus chi mi furinti giai in su coru, ma d’appu fattu cun d’una castiàda differenti poitta esti una castiàda chi si fìcchidi in d’un’atra cultura e ‘ndi stùppada cambiau de conca a peis. Po Antonella, a su contrariu, mi ‘ènidi de pensai a un’esperiensia interessanti meda, ma prus in fundu, cun sa limba sarda.
A.A. Deu pensu d’essi sempri stèttia cumandàda, in conca, de un’atra limba, sa limba intèndia de pippìa, su sardu. Su ai studiau in Inghilterra, ineubua appu biviu po pagu candu fui a s’universitadi e pustis, prus a longu, po su dottoràu, est capitàu con d’unu tempus de studiu precisu meda de tottu is limbas fueddàdas e iscrittas in Sardigna: de su lugudoresu, ma fiancias de su catalanu e de su galluresu chi meda s’assimbilgiat a sa limba corsicana. Forsis, su sardu, est una de is limbas prus ugualis a su latinu. In sa tradussioni inglesa tòrrada, s’assimbìlgiada in su essi imparis precisa ma cun pagus fueddus. Trabalgiendu cun Jamie McKendric, su poeta chi adi portau in inglesu is poesias de is operas mias [Archipelago, 2014, ndc], chi connòscidi beni meda s’italianu ma tenit puru arreiginis de sa Scozia e de s’Irlanda, eus pigau in cunsidèru is limbas de is mammas nostras ma puru is fueddus usaus de sa genti cumuna. Unu trabalgiu de provas chi po mei est diventau unu trabalgiu, in matematiuca s’ìada a nai, de sottrassioni. Passendu de su sardu a s’italianu e maneggendu s’inglesu, m’accattàu de comenti èssidi importanti a ‘ndi ogài su chi non fudi necessariu. Appu cumprendiu puru su poitta preferìa certus modus quasi cantaus de sceddài is fueddus. Su sardu est una limba prena de consonantis, tostàda: ≪scaglia di gelo≫ si nàrada ≪àstula d’astràgu≫.
Pigaus po esempiu una poesia tradùssia de su sardu a s’inglesu cun s’italianu a cunfrontu, su tituliu esti: Contra Scaurum, Contro Scauro. Custu Scauro fudi cumandanti, proconsoli romanu a su tempus de Ciceroni, i enidi imputau de parte de is sardus de ai furàu e de ai, a pustis, obbriàu una femmina a si morri a manu sua pust d’ai fattu violensia in su corpus. Is sardu àndanta a Roma po fai su testimongiu a càrrigu, perou Ciceroni arrennescidi a du fai assolvi scriendu una orassioni Pro Scauro cun argumentus chi oi iausu a nai razzistas. Po Ciceroni is sardu fùrinti testimongius senza cabàli poitta imbusciaus de peddis de animalis, pudescius, erribànta de una terra ineubua, comenti naràda, puru “su meli fudi feli”.
E iscriri pusti medas seculos contras a una persona comenti Scauro, prus che seguru de non tenni curpas, assolviu poitta si podiat permitti un abogàu comenti Ciceroni, a bolgiu nai a pensai a su modu e chistionai, a sa limba. E tandu, cun su sardu – pensu – seu arrennescia a cumprendi sa distansia ma puru s’attaccamentu cun s’italianu, sa passioni e s’ammescuru cun su latinu, sa memoria de sonus chi mi portànda a nion fueddài nudda, a su silensiu, un isolamentu – si nàrada – chi perou, com’enti adi spiegau un’artista sarda chi stimu meda, Maria Lai, non tènidi nudda de misticu, funti meda prusu cuncretus, facilis a cumprendi.
E pensendu a s’unioni tra limba e politica m’enidi a conca unu poeta de su Noigentu, Giacomo Noventa, che a su tempus nieddu de su fascismu scèddada de scriri in venessianu poitta non di podiat prusu de maniggiai fueddus comenti “patria” o “famiglia” usadas de sa dittatura in modu retoricu. Adi sceddàu cun d’unu pensamentu in pissu de sa “non innocensia” de sa limba e i sa necessitadi de si fai una limba “tottu sua” comenti nàrada in d’unu versu.
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The myth of Babel tells of the loss of the earth’s one language and one speech, and the confusion of languages. Suddenly every object and every idea assumed a plurality of names, and the oversized tower, symbol of human imagination and hubris, was abandoned within the shadow foreboding its destruction. With an unprecedented series of correlated texts, Specimen explores these magnificent ruins, hearing echoes of the multiplicity of languages and the birth of translation. This collection includes texts about Babel, translation or language, and special translations. In September 2021, 20 years after 9/11, the Babel festival will focus on the multiplication of languages and the present diaspora from the regions of ancient Babylon – the scattering of the children of men over the face of all the earth. >> www.babelfestival.com
Published July 1, 2021
Il testo è stato tradotto da Giacomo Mameli (Perdasdefogu 1941) , giornalista, sociologo, in campidanese, una delle tre parlate classiche sarde con il logudorese e il barbaricino. Mameli usa la variante ogliastrina, da lui parlata a Perdasdefogu-Foghesu dove abita e conversa quotidianamente solo “in sardo”.
Custu scrittu, in campidanesu, esti de Giacomo Mameli (Perdasdefogu 1941), giornalista, laureau in Sociologia. Mameli ùsada sa varianti ogliastrina, de issu imperàda a Foghesu ineiubùa bìvidi e chistionada d’ognia dì fetti in sardu.
© Giacomo Mameli
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