Undefeated Despair
Curated by Specimen
From Undefeated Despair
Written in English by John Berger
The Judean desert between Jerusalem and Jericho is of sandstone, not sand, and is precipitous, not flat. In the spring parts of it are covered with wild grasses and the goats of Bedouins can feed off it. Later in the year there are only clumps of boxthorn.
If you contemplate this desert you quickly discover that it’s a landscape whose gaze is totally directed towards the sky. A question of geology not biblical history. It hangs there beneath the sky like a hammock. And when it’s windy it twists like a winding sheet. As a result the sky appears to be more substantial, more urgent, than the land. A porcupine quill blown by the wind lands at your feet. It’s not surprising that hundreds of prophets, including the greatest, nurtured their visions here.
The light is fading and a herd of two hundred goats, with a Bedouin shepherd on a mule with his dog, is making its evening zigzag descent down to the camp where there’s water to drink and some extra grain to eat. The thistles and rhizome roots give little nourishment at this time of year.
The difficulty with prophets and their final prophesies is that they tend to ignore what immediately follows an action, ignore consequences. Actions for them, instead of being instrumental, become symbolic. It can happen that prophesies cause people not to see what time contains.
The Bedouin family below is living in two abandoned buildings, not far from a Roman aqueduct. At this time of day the mother will be cooking flat bread, daily bread, on a heated stone. Seven of her sons, who were born here, work with the herd. The family has recently been informed by the IDF that they have to leave before the spring. Hands above the head and walk backwards! All the female goats are pregnant. Five months’ gestation period. We’ll face that when we get there, says one of the sons. The stance of undefeated despair works like this.
A refusal to see immediate consequences. For example – the wall and the annexation of still further Palestinian land cannot promise security for the state of Israel; it recruits martyrs.
For example – if a kamikaze martyr could see with their own eyes, before he or she died, the immediate consequences of their explosion, they might well reconsider the appropriateness of their steadfast decision.
The goddamned future of prophesies that ignores all but the final moment.
In the stance I keep referring to, there is something special, a quality which no postmodern or political vocabulary today can find a word for. The quality of a way of sharing which disarms the leading question of: why was one born into this life?
This way of sharing disarms and answers the question not with a promise, or a consolation, or an oath of vengeance – these forms of rhetoric are for the small or large leaders who make History – and this way disarmingly answers the question despite history. Its answer is brief, brief but perpetual. One was born into this life to share the time that repeatedly exists between moments: the time of Becoming, before Being risks to confront one yet again with undefeated despair.
Published October 30, 2023
© John Berger
© International Socialist Review
Da Abbi cara ogni cosa, Scritti politici 2001-2007
Written in English by John Berger
Translated into Italian by Maria Nadotti
Il deserto della Giudea tra Gerusalemme e Gerico è di arenaria, non di sabbia, ed è scosceso, non piatto. In primavera alcune sue parti si coprono di erbe selvatiche, di cui le capre dei beduini possono cibarsi. Più avanti nella stagione ci sono solo macchie di arbusti spinosi.
Se contemplate questo deserto, scoprirete presto che si tratta di un paesaggio il cui sguardo è totalmente rivolto verso il cielo. È una questione di geologia, non di storia biblica. È appeso lì sotto il cielo come un’amaca. E quando soffia il vento, si attorciglia come un sudario. Con il risultato che il cielo pare più solido, più urgente, della terra. Un aculeo di porcospino spinto dal vento atterra ai vostri piedi. Non c’è da stupirsi che qui centinaia di profeti, incluso il più grande, abbiano nutrito le loro visioni.
La luce sta svanendo e un gregge di duecento capre, con un pastore beduino a dorso di mulo in compagnia del suo cane, compie come ogni sera la discesa a zigzag fino all’accampamento dove troverà acqua da bere e qualche granaglia in più da mangiare. In questa stagione dell’anno i cardi e le radici dei rizomi non bastano a sfamare.
Il guaio con i profeti e con le loro profezie irrevocabili è che tendono ad ignorare le conseguenze delle azioni. Per loro le azioni, invece di essere strumentali, diventano simboliche. Può capitare che le profezie impediscano di vedere ciò che il tempo stesso contiene.
La famiglia di beduini vive in due edifici abbandonati, non lontano dalle rovine di quanto resta di un vecchio acquedotto. A quest’ora del giorno la madre prepara un pane sottile, il pane quotidiano, su una pietra rovente. Sette dei suoi figli, che sono nati qui, si occupano del gregge. Di recente la famiglia è stata informata dalle Idf che dovrà andarsene entro la prossima primavera. Mani in alto e arretrate! Tutte le femmine del gregge sono gravide. Cinque mesi di gestazione. Ci penseremo quando sarà il momento, dice uno dei figli. L’atteggiamento di disperazione senza sconfitta funziona così.
Il rifiuto di vedere le conseguenze immediate. Per esempio: il Muro e l’annessione di altra terra palestinese non possono assicurare sicurezza allo stato di Israele; reclutano martiri.
Per esempio: se il martire o la martire suicida potessero vedere con i propri occhi, prima di morire, le immediate conseguenze della loro esplosione, forse si chiederebbero se la loro eroica decisione sia davvero appropriata.
Il maledetto futuro delle profezie che ignorano tutto ciò che non è il momento finale!
Nell’atteggiamento cui continuo a riferirmi c’è qualcosa di speciale, una qualità per la quale nessun vocabolario postmoderno o politico ha oggi un nome. La qualità di un modo di condividere che disarma il quesito principale: perché si viene al mondo in questa vita?
Questo modo di condividere disarma l’interrogativo e gli risponde non con una promessa, o una consolazione, oppure con un giuramento di vendetta – queste forme di retorica sono per i piccoli o grandi leader che fanno la Storia –, e ribatte in maniera disarmante malgrado la storia. La sua risposta è breve, breve ma eterna. Si è venuti al mondo in questa vita per condividere il tempo che esiste ripetutamente tra momenti: il tempo del Divenire, prima che l’Essere rischi di esporti di nuovo a una disperazione senza sconfitta.
Published October 30, 2023
© Fusi Orari, Roma 2007
Other
Languages
Your
Tools